Costretto a fallire: «Sono stato lasciato solo»
La storia di Diego Marchiori, 28 anni, imprenditore del mobile, che ha dovuto chiudere l’azienda anche a causa dell'embargo alla Russia

La storia di Diego Marchiori, 28 anni, imprenditore del mobile, che ha dovuto chiudere l’azienda anche a causa dell'embargo alla Russia
Diego è seduto sull’ultimo scalino, davanti il vuoto, alle spalle e tutto intorno lo stesso scenario, il nulla distribuito su 600 metri quadrati di capannone. Si regge la testa con la mano, che a sua volta trova sostegno nella gamba, i ricordi pesano e schiacciano.
Diego è solo, lasciato da solo. «Vivo tra alti e bassi, oggi capisco il percorso di chi ha deciso di farla finita, il pensiero arriva... ho pianto tante volte e non me ne vergogno». Diego Marchiori, 28 anni, imprenditore del mobile a Bovolone, lo scorso 31 ottobre dopo 13 settimane di cassa integrazione per i 5 dipendenti ha chiuso Ecolux, la ditta avviata dal padre nel 2006. Oggi chiude i conti con i fornitori, svendendo i macchinari, non ha chiesto il concordato e tanto meno ha dichiarato fallimento.
Chi ha fallito è lo Stato, dice Diego: «Il nostro mercato di riferimento era la Russia, ci occupavamo della verniciatura di mobili di alta gamma, cucine ad esempio da 17 metri –improponibili in Italia - arredi che i clienti russi amavano in quanto tutto ciò che è italiano è cercato e acquistato». Ottobre 2014, l’inizio della fine. «La crisi Ucraina, l’embargo dell’Italia a quel mercato, la svalutazione del 30% del rublo, ci hanno chiuso commesse e azienda». Il fatturato di 300 mila euro all’anno nel 2015 scende del 25%, del 50% ad inizio 2016, arrivando sino al 65% a ottobre, la chiusura si impone d’imperio.
Diego è sposato da 3 anni con Martina, vive a Povegliano, e a maggio diventerà padre per la prima volta. Ecco l’analisi sulla fine della sua ditta: «Se il governo opera scelte geo politiche – dettate dall’America - che mettono in crisi un comparto fatto di piccole e medie aziende che producono reddito e posti di lavoro, è obbligato ad avviare contromisure. La mia azienda non ha la forza per cambiare repentinamente il mercato di riferimento come fanno i grandi gruppi». Mi può fare un esempio? «Una Camera di commercio che ci portasse in altri Paesi dove esportare».
Diego parla senza mai accendere i toni e senza spegnere la consapevolezza sulle responsabilità: «Se in tutti questi anni il consorzio del mobile veronese non ha mai visto la luce è anche colpa nostra, incapaci di fare rete». Il mobile d’arte è in sofferenza dal 2001, con suo padre apre alle soglie della crisi nel 2006, non è stato un azzardo? «Può darsi, - raccoglie la puntualizzazione e di getto la riempie di azioni fatte- quando sono entrato in azienda nel 2014 abbiamo avviato progetti di ricerca e sviluppo, dando ulteriore qualità ai prodotti, stavo per allargare la gamma, lavoravo nel solco dell’ecosostenibilità dei mobili quanto del posto di lavoro per i dipendenti».
Nessuna bad bank. «Anche i report delle banche con le quali lavoravo erano positivi, anzi ero un cliente modello». Diego stava nutrendo la sua l’azienda. Ha appeso al chiodo la sua imprenditorialità? «No, ora ho bisogno di tempo per riflettere, non ho ancora le idee chiare, sto pensando a qualche cosa che si occupi della valorizzazione delle persone». Persone, 2 milioni quelle che hanno letto la sua lettera di imprenditore costretto a chiudere comparsa prima sul sito di officina.org poi rimbalzata su Fb il 24 ottobre scorso. L’eco delle sue parole, oltre alla solidarietà, alla vicinanza, cosa le ha portato? «Anche aiuti economici da parte di amici e tanti inviti a trasferirmi all’estero».
Giovane intraprendente, preparato, deluso dal governo italiano, manca solo la valigia? «No, non me ne vado, al mondo mi apro rimanendo nel mio paese, mi sto aggiornando con la lingua inglese, sono ottimista e realista, lo definisco un ottimismo di prudenza, ma non lascio l’Italia questo è certo. Sconfitto o arrabbiato? Entrambi, di certo non mi fermo, non basta protestare, serve trovare soluzioni, questo è il mio impegno». Ha chiuso il cancello della Ecolux il 31 ottobre scorso, oggi vive sospeso tra rabbia e amarezza: «La qualità non ha pagato. Essere rimasti onesti non è servito. Non è giusto»: sono alcune parole dalla lettera di Diego affidate alla rete. Cambieranno qualche cosa?