Lo straordinario racconto del cammino di Santiago

Marco Girelli, imprenditore di Sommacampagna, racconta la sua esperienza fino alla città di San Giacomo

Lo straordinario racconto del cammino di Santiago
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Marco Girelli, imprenditore di Sommacampagna, racconta la sua esperienza fino alla città di San Giacomo

E' iniziato per puro spirito di avventura il viaggio intrapreso da Marco lo scorso agosto, un tuffo nella Spagna dei pellegrini e dei «bicigrini», come lui, che hanno deciso di percorrere il Cammino di Santiago. Erano appena iniziate le sue vacanze dal lavoro quando Marco Girelli, imprenditore di 46 anni, di Sommacampagna, ha messo in valigia mountain bike e approvazione della famiglia e ha preso un aereo, un treno, infine un treno ancora più piccolo. Meta: i Pirenei, là dove viene fatto il primo timbro sul documento della Compostela e l'avventura può davvero cominciare.

Così la pedalata si trasforma in una tappa di 50, 70, 90 chilometri attraverso la Navarra, la Castiglia, la Galizia, sfiorando città come Pamplona e Leon, mentre le famose conchiglie segnaletiche indicano la strada giusta. La fatica diventa entusiasmo, la preoccupazione di tutti i giorni scompare e la mente si svuota: restano solo i paesaggi da ammirare e le persone da conoscere. Un percorso fatto di incontri, quello di Marco, che si emoziona nel raccontare la semplicità con cui nascono le amicizie lungo il Cammino di Santiago. «Qualcuno mi ha regalato un disegno, altri creavano cuori e sorrisi nelle corolle dei girasoli, nei campi. E poi c'è la cena del pellegrino, una tavola per coloro che vogliono condividere ancora un momento prima di andare a riposarsi».

Persone, oltre i luoghi, almeno su questo non è scesa la pioggia, che ogni tanto accompagna i viaggiatori. Ma la realtà è che la Cattedrale di Santiago attende soprattutto i solitari, coloro che vivono l'esperienza con se stessi, secondo i propri tempi e desideri: lui lo definisce un viaggio interiore, del quale, a un certo punto, non si vuole nemmeno parlare più di tanto. Niente fotografie sui social, per quei dodici intensissimi giorni, niente di più - nè meno - di un ricordo fortissimo, forse da rivivere a piedi, sicuramente da portare con sè come un tatuaggio.

Un'esperienza di vita che fa capire tanto delle persone: sono oltre 200mila quelle che, ogni anno, raggiungono la meta, spinte da motivi diversi e mai banali, come la fede, l'amore per il viaggio o la necessità di prendersi del tempo per sè. «Cosa che non facciamo mai», ci tiene a sottolineare Marco. Così è passato il tempo del pellegrinaggio interiore di Marco, tra nuove conoscenze toscane, lecchesi, spagnole, da esplorare davanti a un piatto di polpo e un bicchiere di vin tinto, dall'alto del Perdon o in una piccola stanza con l'edera sulla finestra.

E già la commozione inizia a farsi sentire durante la penultima tappa, a Melida, quando il più è ormai fatto e si comincia a provare una strana sensazione, quella tipica di tutti i viaggi che volgono al termine; tanto più un percorso così, collettivo e individuale al tempo stesso, un po' difficoltoso per un ciclista amatoriale eppure semplice nella sua bellezza. Non è un caso se Santiago de Compostela viene considerata la terza città santa più importante per i pellegrini di tutto il mondo, dopo Gerusalemme e Roma. Tanti i momenti da incorniciare, come l'attestato al termine del Cammino, stilato in latino, o lo stesso documento alla fine ricolmo di timbri, magari un po' sgualcito.

Ricordi che si riassumono in 400 fotografie personalissime e in un atteggiamento nuovo nei confronti della vita, una visione d'insieme che non lascia più spazio per le cose superficiali, ma solo per quelle che fanno bene all'anima. E il rientro a casa? Il pellegrino in bicicletta lo ha abbracciato insieme alle sue figlie, anche se è innegabile una buona dose di nostalgia per tutto ciò che il Cammino e Marco si sono donati nell'estate del 2016, a Santiago de Compostela. «E' stata un'avventura unica e magica, che alla fine è diventata parte di me».

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