Teatro, da stasera torna la magia dei Momix

Ponte Pietra e le zone circostanti dalle 20.30 a mezzanotte “s’illumineranno per la danza” quasi a “dilatare” fuori dal teatro questo capolavoro

Teatro, da stasera torna la magia dei Momix
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Ponte Pietra e le zone circostanti dalle 20.30 a mezzanotte “s’illumineranno per la danza” quasi a “dilatare” fuori dal teatro questo capolavoro

Conclusasi la sezione prosa, l’Estate Teatrale Veronese prosegue con la danza.

Dal 25 al 30 luglio e dall’1 al 6 agosto i Momix ripropongono al Teatro Romano uno dei loro capolavori: Opus Cactus. Un’attesissima riproposta quindici anni dopo la “prima” europea che ebbe luogo proprio al Teatro Romano. Era il 2 agosto 2001 e i Momix tornavano per la quarta volta in otto anni al Teatro Romano.

L’evento era attesissimo. A battere sulla gran cassa aveva cominciato Sette del Corriere della Sera del 26 luglio con una parafrasi del celebre film di Kevin Conster: giocando sull’immagine – assurta a icona dello spettacolo – del ballerino col fuoco ai piedi, il settimanale del Corsera titolava su due pagine “Noi balliamo con i cactus” e annunciava la “prima” europea del 2 agosto a Verona. Poi, mentre il tutto esaurito per le nove serate dei Momix scatenava i ritardatari nella consueta caccia al biglietto, le numerose interviste sui quotidiani regionali e nazionali a Moses Pendleton davano ogni giorno di più l’idea della portata della “prima” europea a Verona.

In sintonia perfetta, quasi si fossero messi d’accordo, già il 3 agosto, all’indomani della “prima”, Corriere e Repubblica uscivano con due grossi articoli sull’avvenuto debutto mentre qualche ora dopo sia il TG1 che il TG2 (e i vari GR Rai) riprendevano il servizio del TG3 Veneto. A partire dal 4 agosto ecco poi le recensioni di numerosi “regionali” e di quotidiani nazionali come Avvenire (che titolava “Nel deserto dell’Arizona affascina l’ultima metamorfosi dei Momix”), Il Giornale (titolo: “Ora i Momix ballano nel deserto”), e L’Unità, quest’ultima con un titolo quasi a tutta pagina (“Moses nel deserto delle metamorfosi”) e col “Teatro Romano di Verona” scritto in grande nel sottotitolo. Concordi le critiche: qualche appunto alla sincronia dei danzatori (che nella notte tra l’1 e il 2 non avevano dormito per fare le prove), qualche riflessione sulla necessità di rodare e perfezionare uno spettacolo nato sei mesi prima negli States per spazi al chiuso, ma soprattutto elogi per questi Momix che se da una parte ricercavano cose nuove (vedi il congegno metallico con cui due danzatori “s’incastravano” e rotolavano in un quadro della seconda parte diventato “mitico”), dall’altra confermavano la “loro vecchia, efficace ricetta fatta di illusioni colorate, ragnatele di equilibrismi, metamorfosi a vista” (L’Unità, 7 agosto). La “prima” europea di Opus Cactus si era cosi trasformata in un grande evento anche per la critica e per Verona, “premiata” dalla stampa nazionale per avere (fuori dagli States) tenuto a battesimo questo spettacolo che a Roma e a Milano fu possibile vedere solo mesi dopo: dal 15 novembre al 2 dicembre a Roma e dal 22 gennaio al 17 febbraio a Milano. Opus Cactus, che era andato in scena trionfalmente al Joyce Theater di New York nel febbraio 2001, giungeva al Teatro Romano dopo Passion (1994), Baseball (1995) e Happy birthday! (2000).

«Opus Cactus – riferiva entusiasta la stampa americana – mette in scena poeticamente il deserto del Sudovest degli Stati Uniti, quello che dall’Arizona sconfina in California. In origine si trattava di una corta pièce commissionata a Pendleton dall’Arizona Ballet, compagnia di cui Moses era stato più volte coreografo ospite. Poi, aggiunta dopo aggiunta, la pièce è assurta a vero e proprio balletto. Grazie ai costumi di Phoebe Katzin i ballerini sono di volta in volta lucertole, scorpioni, serpenti del deserto, nonché variopinte specie di flora e fauna. Sul palco, gli effetti luce creati da Joshua Starbuck mostrano un deserto ora nell’accecante luce del giorno e ora nel blu notte degli stellati con la luna, in un susseguirsi di poetiche albe e tramonti rosso fuoco. I dieci ginnasti-ballerini, cinque uomini e cinque donne sembrano sfidare – come sempre nei balletti di Pendleton – le leggi della gravità: volano, saltano, rimbalzano, si librano su alti pali, roteano intorno a una struttura metallica che sembra disarticolarsi per poi ricomporsi, attraversano la scena come fulmini su minuscoli skateboard, compiono un rituale iniziatico per mezzo del fuoco, e altro ancora, sempre ai limiti della fisicita. L’accompagnamento musicale spazia da Bach a Brian Eno (The Drop), dai Dead can Dance (The Serpent’s Egg) a Peter Buffet (Spirit Dance), da danze tribali degli indiani d’America a brani di altre culture “desertiche” come quella degli aborigeni australiani».

Per rendere onore a questo grande evento, lunedì 25 Ponte Pietra e le zone circostanti dalle 20.30 a mezzanotte “s’illumineranno per la danza” quasi a “dilatare” fuori dal teatro questo capolavoro dei Momix.

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