Svolta nel caso Moussa: gli esami tossicologici confermano l'assenza di alcol e droga
Il comitato "Verità e giustizia per Moussa" ribadisce che il giovane non faceva uso di sostanze. Intanto, prosegue l'analisi delle telecamere di videosorveglianza da parte della polizia scientifica di Padova
Una novità importante emerge nell'indagine sulla morte di Moussa Diarra, il 26enne originario del Mali ucciso da un colpo di pistola sparato da un agente della polizia alla stazione di Verona Porta Nuova. I risultati degli esami tossicologici hanno escluso la presenza di alcol e sostanze stupefacenti nel suo sangue (in copertina: Moussa Diarra).
Esclusa la presenza di alcol e droghe
Una verità che sembra confermare le dichiarazioni di chi lo conosceva, inclusi amici, membri della comunità maliana e, soprattutto, suo fratello, che ha sempre sostenuto che Moussa non avesse mai fatto uso di droghe né di alcol nella sua vita.
"Non c'è traccia di alcool e droga, né sostanze stupefacenti" afferma in un'intervista al TGR Veneto Giorgio Brasola, membro del Comitato Verità e giustizia per Moussa. "Tutto questo ce l’hanno sempre detto, gli amici di Moussa, la comunità maliana e soprattutto il fratello di Moussa, che per sempre ha sostenuto che Moussa non aveva mai assunto alcool e droga nella propria vita".
Questo esito, che arriva dopo una serie di esami approfonditi, mette un punto fermo nella vicenda, anche se rimangono aperte alcune questioni, come la possibile presenza nel sangue di un antidepressivo che Moussa assumeva regolarmente. I risultati su questa sostanza, tuttavia, sono ancora attesi.
L'analisi delle telecamere
La tragedia si è consumata la mattina del 20 ottobre scorso, quando Moussa si trovava nei pressi della stazione di Verona Porta Nuova. Secondo la ricostruzione fornita dalle autorità, Moussa avrebbe aggredito un agente di polizia con un coltello, provocando la reazione di quest'ultimo che ha sparato tre colpi di pistola. L'agente, attualmente indagato per eccesso colposo di legittima difesa, ha colpito il giovane al cuore, con il colpo fatale che ha causato la sua morte.
Brasola, durante una manifestazione del Comitato nella stazione veronese, ha mostrato il giubbotto di Moussa, evidenziando i fori provocati dai colpi. Le immagini delle telecamere di videosorveglianza, anche se non completamente chiare, sono ora sotto analisi da parte della scientifica di Padova. Due delle telecamere, come confermato dal Procuratore di Verona, hanno ripreso gli spari e la caduta di Moussa, seppur da una visuale laterale e distante.
Il fratello di Moussa, Djemanga, presente anche lui alla stazione di Porta Nuova, continua a chiedere giustizia e si oppone alla versione ufficiale. I suoi avvocati stanno lavorando a stretto contatto con i periti per una revisione accurata delle immagini raccolte, nella speranza di fare luce su quanto accaduto davvero quella tragica mattina.
Un passato difficile
Moussa, 26 anni, era arrivato in Italia nel 2016, percorrendo la medesima odissea che migliaia di migranti affrontano: dal Mali attraverso l’Algeria e la Libia, fino a sbarcare a Lampedusa. A Verona aveva trovato un impiego come lavoratore agricolo con contratto regolare. Tuttavia, da tempo era preda di un profondo malessere, come spiegato dal fratello Djemanga.
Negli ultimi mesi, specialmente dopo la morte del padre in Mali avvenuta tre mesi fa, aveva smesso di parlare e trascorreva le sue giornate al "Ghibellin Fuggiasco", dove Moussa si era stabilito.
Il 10 ottobre scorso avrebbe dovuto rinnovare il permesso di soggiorno con il suo contratto agricolo, ma qualcosa lo aveva fermato. Nonostante le rassicurazioni degli amici e i tentativi di incoraggiarlo a trasferirsi altrove, Moussa aveva scelto di restare, fino alla tragedia di domenica mattina.
Suo fratello chiede ora la verità, vuole capire cosa sia davvero accaduto quel giorno: un ragazzo da tutti descritto come mai violento, che però secondo le prime ricostruzioni quella mattina avrebbe spaccato vetrine e agitava un coltello.