Gli Orando: osti e macellai per tradizione

Il «becàro» più elegante di Quaderni era il signor Vittorino: in giacca e cravatta anche in stalla a scegliere gli animali migliori

Gli Orando: osti e macellai per tradizione
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Il «becàro» più elegante di Quaderni era il signor Vittorino: in giacca e cravatta anche in stalla a scegliere gli animali migliori

Negli anni Cinquanta a Quaderni c’era un macellaio elegante che anche quando doveva andare di stalla in stalla a scegliere gli animali migliori per il suo lavoro lo faceva vestito di tutto punto, impeccabile nel suo completo bianco con giacca e cravatta e con tanto di scarpe di camoscio color panna. Il prevedibile punto di vista della moglie riguardo a tale scelta, inappuntabile dal punto di vista dello stile, ma un po’ meno inattaccabile in quanto a praticità, lo racconta Michelina, figlia del signor Vittorino Orando: « Mia madre, Giulia, quando lo vedeva rientrare a casa con la stoffa candida macchiata di fango e sangue lo rimproverava perché poi era costretta a impazzire per riuscire a renderli nuovamente immacolati».

La famiglia Orando porta avanti la macelleria a Quaderni da sempre, per quanto è possibile ricostruire sulla base dei ricordi: «I primi documenti ufficiali risalgono agli inizi del Novecento, quando se ne occupava mio nonno Vittorino - spiega Federica, che adesso porta avanti l’attività insieme alla sorella Isabella - ma anche lui l’aveva ereditata a sua volta dai genitori e così via. Fino agli anni Sessanta circa era anche bar osteria e vi si vendevano generi alimentari, poi le due attività sono state divise passando in gestione a mia zia Michelina e a mio padre Giancarlo insieme a mia madre Vanda e ora siamo in tre sorelle ad occuparcene: io e Isabella gestiamo la macelleria e Ilaria il bar Pura Vida. Un tempo la cucina della casa era incastonata fra i due locali e vi si aprivano da un lato la porta che dava in macelleria e dall’altro la porta che dava nel bar.

Mia zia Michelina racconta che i clienti venivano ad appendere i cappotti nella nostra cucina e sempre lì venivano messi i salami ad asciugare, cospargendo il pavimento di segatura per raccogliere l’umidità che rilasciavano. Per di più il nonno fu uno dei primi in paese a far installare un telefono privato, anche quello in cucina, e quindi ovviamente spesso la gente del quartiere veniva da noi a telefonare. Insomma, a casa nostra una cucina normale non l’abbiamo mai avuta». Visto il periodo la signora Michelina ricorda che cosa succedeva un tempo per Pasqua: «La processione del Venerdì santo era un evento importante. Mentre il corteo passava, fuori dai negozi e dalle case si appendevano delle lanterne di carta che puntualmente prendevano fuoco per colpa del vento. Poi, una volta finita, c’era l’usanza di aprire i negozi con le vetrine addobbate sontuosamente a festa perché la gente di ritorno dalla processione passasse a vederli.

Noi appendevamo i quarti di bovino adornati d’alloro e avvolti con strisce tricolore, gli agnelli invece oltre all’alloro avevano come decorazione un limone o un’arancia in bocca, e per finire componevamo la scritta “Buona Pasqua” incastonando i chicchi di caffè nel grasso del lardo. Poi, una volta che la gente era tornata a casa, si rimetteva tutto a posto». Infine Isabella racconta che negli anni Quaranta e Cinquanta la loro non era l’unica osteria del paese: «Può sembrare incredibile, ma la sola frazione di Quaderni ne contava ben tredici, fra cui: al Buteleto, al Volto, al Circolo, da Maron, dalle Checche, che avevano il primo telefono pubblico, all’Impero, alla Pace, da Melbe, che invece aveva un campo da bocce e il cui figlio Ugo fu un campione di lancio del peso, dalla Parpa e al Centrale. Allora non c’era la televisione e, quando la sera col calare del buio e più spesso d’inverno non si poteva lavorare nei campi, tutti gli uomini uscivano di casa e si ritrovavano per giocare a carte o alla morra nei locali». All’epoca le osterie erano quindi un luogo di ritrovo quotidiano, in cui si svolgeva una parte importante della vita sociale del paese.

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