Dediche a Tiberio, il Castello conserva tesori nascosti

Il monumento scaligero custodisce murato nella base del mastio il documento epigrafico più importante del Nord Italia: i frammenti del testo intitolati a quello che probabilmente fu un arco di trionfo per l’imperatore

Dediche a Tiberio, il Castello conserva tesori nascosti
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Il monumento scaligero custodisce murato nella base del mastio il documento epigrafico più importante del Nord Italia: i frammenti del testo intitolati a quello che probabilmente fu un arco di trionfo per l’imperatore

Il Castello scaligero è il simbolo della città di Villafranca, tanto che proprio un castello dorato campeggia in campo azzurro e rosso nel suo blasone. Con la sua imponenza chiude in modo suggestivo la prospettiva del corso principale, facendo da meraviglioso fondale al centro storico. Eppure, se non ci si limita a percepirlo come uno scenografico fondale e lo si osserva più da vicino con attenzione, si può scoprire che possiede grandezza anche nei dettagli meno maestosi, che forse non a tutti i villafranchesi sono noti, ma che una volta scoperti non possono che incrementare il fascino del monumento principe della città.

Uno di questi dettagli può essere intravisto da tutti, anche dall’esterno. Infatti, guardando con attenzione attraverso le inferriate del cancello la base della torre principale, il mastio, si può vedere che nello spigolo più vicino si trovano contigui due blocchi di pietra bianca che presentano i frammenti di un’iscrizione latina a prima vista incomprensibile, ma che ha un’insospettabile rilevanza, come chiarisce lo storico Luca Dossi: «Villafranca ha un tesoro. Quei blocchi, insieme ad altri tre che si trovano nella parte posteriore del basamento del mastio, non visibile dall’esterno, costituiscono, per dimensioni e qualità dello specchio epigrafico, una delle più importanti, se non la più importante iscrizione latina dell’Italia settentrionale, scoperta nel 1872 quando, facendo i lavori di sterro per abbassare il piano di calpestio è stata esposta la base della torre. I blocchi, in calcare bianco compatto dei Monti lessini, sono stati utilizzati come materiale di reimpiego nella seconda fase di costruzione del castello villafranchese, avvenuta nel 1243, ma provengono da un edificio ben più antico».

Di che struttura si trattasse non è certo, ma doveva essere di dimensioni considerevoli. Infatti, come spiega Dossi, provando a ricollocare i vari frammenti in ordine, risulta chiaro che l’iscrizione non è completa e che probabilmente doveva prevedere altri tre blocchi. Se si considera che ognuno di essi è largo almeno un metro, ne consegue che qualunque fosse l’edificio a cui appartenevano in origine, si sviluppava almeno per otto metri. «Per questo motivo si propende generalmente per un arco di trionfo - continua Dossi - dedicato all’imperatore Tiberio. Infatti nel testo si dice che il monumento fu costruito per lui durante il suo quarto consolato, nell’anno in cui era salutato imperatore per l’ottava volta. Questo ci permette di datare l’iscrizione fra il 15 e il 21 d.C. E’ certo che le parti del monumento reimpiegate vennero trasportate a Villafranca e non provenivano da un edificio qui costruito, date le dimensioni notevoli. Possiamo ipotizzare che si trovasse a Verona, ma senza spingerci oltre».

E’ invece certo, perché lo dicono esplicitamente i frammenti del testo, che a far costruire l’opera fu un tale Lucio Cassio Corneolo: «Corneolo - puntualizza Dossi - non è un nome latino, ma la latinizzazione di un nome straniero, quindi questo personaggio ottenne la cittadinanza romana e, sebbene di origine straniera, doveva essere vicino all’imperatore se, oltre al ruolo di primipilo e di tribuno, ebbe anche quello di prefetto. Sicuramente fu ricco, come ci tiene a sottolineare implicitamente con la formula abbreviata “DPSD”, ovvero de pecunia sua dedit che tradotto è “fece costruire a sue spese”».

Una curiosità è data dal fatto che, quando l’iscrizione fu inserita nella più importante raccolta di epigrafi latine, il «Corpus Inscriptionum Latinarum», venne inizialmente trascritta con un errore. Infatti, Theodor Mommsen, forse il più grande classicista dell’Ottocento e colui che diede origine al Corpus, non venne di persona a vedere l’iscrizione, ma ne ricevette dei disegni dai suoi collaboratori. «Così - racconta Dossi l’iscrizione fu inserita nel quinto dei sedici volumi previsti dal Corpus con “Caesius” invece di “Cassius”. Successivamente si corresse l’errore e l’epigrafista dell’università di Verona Alfredo Buonopane insieme a Werner Eck proposero la ricostruzione ipotetica del testo attualmente accettata».

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