Covid-19

Caso Alini, il decalogo del primario Micheletto di Verona: "Cosa ci ha detto l'esperienza sul campo"

L'infermiere di Cremona, al centro delle polemiche (specialmente social) mette in evidenza il contributo del primario Micheletto di Verona sul periodo Covid.

Caso Alini, il decalogo del primario Micheletto di Verona: "Cosa ci ha detto l'esperienza sul campo"
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Dopo le polemiche, con tanto di campagna d'odio sui social, l'infermiere cremonese Alini ha messo in evidenza il decalogo del primario di Verona Micheletto.

Il contributo veneto riportato da Alini

Un risvolto veneto, e segnatamente veronese, nel caso dell'infermiere di Cremona, Luca Alini, le cui parole dei giorni scorsi sulla ripresa dei ricoveri di pazienti Covid in ospedale, hanno scatenato un'infinità di polemiche. Su di lui si è scatenata una vera e proprio campagna d'odio social. Ma Alini ha voluto di nuovo intervenire sul suo profilo facebook sottolineando il contributo al dibattito sul periodo Covid del Direttore della Pneumologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, Claudio Micheletto.

"Visto il bailamme creato dal mio post, ripropongo questo ottimo (secondo me) resoconto del periodo COVID, scritto non dammiocuggino che se ne intende, ma da un primario di una clinica universitaria, più precisamente di Verona. Coinvolta, come gran parte del nord Italia, nell'emergenza. E badate bene, questo Signore(che, ci tengo a precisare, io non conosco né ho mai visto di persona) snocciola alcuni dati, citando la fonte. Cosa rara di questi tempi".

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Il decalogo del primario di Verona

Ed ecco l'intervento del primario Micheletto riportato da Alini:

“Dopo ottanta giorni abbiamo chiuso un reparto COVID, stiamo tentando di tornare a vita normale. Ci portiamo dentro tante storie, tanta fatica, ma anche tante soddisfazioni. E’ il momento di fare qualche serena meditazione, in questo periodo ne abbiamo lette di ogni genere. Questo è il mio decalogo, non contiene verità assolute, ma quello che ho respirato sul campo, giorno per giorno.

  1. Il virus COVID 2019 è una infezione molto pericolosa. Guardiamo i numeri: negli stati Uniti muoiono ogni anno 16.000 persone di influenza (ultima pubblicazione JAMA 2019); negli ultimi tre mesi i decessi sono 107.000;
  2. Il numero dei decessi in Italia è reale, eventualmente sottostimato perché non rientrano nelle stime ufficiali tutti coloro che sono morti a casa o nelle RSA. Quando si chiude una cartella si scrive il DRG (diagnosis related group). Lo facciamo da oltre 30 anni, sappiamo farlo, le persone morivano DI COVID, con difficoltà respiratoria e polmoni imbiancati, non certo CON il COVID. Non insegnateci questa pratica, lo sappiamo fare;
  3. Sono state fatte delle autopsie in tutto il mondo, non servivano grandi numeri, sono tutte uguali, non c’è dietro nessun complotto. Alveoli ripieno di materiale infiammatorio, come tutti i distress respiratori, ed alterazioni a carico del microcircolo. Fare tante autopsie non avrebbe aggiunto niente, sin dal primo giorno abbiamo trattati tutti i pazienti con anti-coagulanti, aggiustando la dose a seconda di determinati valori ematici. La coagulazione aumenta in corso di infiammazione, è una nozione molto antica;
  4. Le misure di contenimento hanno consentito di spegnere gradualmente l’epidemia. Forse in alcune zone potevano essere promulgate prima, in altre potevano essere interotte qualche settimana prima, ma non cambia la sostanza. In nessun Paese il virus è scomparso con misure alternative: il modello svedese è fallito, in Brasile la situazione è fuori controllo, Stati Uniti ed Inghilterra hanno dovuto far marcia indietro;
  5. Sappiamo come curare nel miglior modo possibile questa malattia. Non esistono farmaci specifici, ma se usiamo con competenza antivirali, idrossiclorochina, anticoagulanti, cortisone, etc. riusciamo a guarire quasi tutti i pazienti. Siamo in difficoltà con coloro che hanno tante malattie concomitanti. Ora dobbiamo analizzare i risultati delle nostre casistiche per valutare quali di questi interventi è fondamentale nella gestione del COVID. Tra le possibilità vi è anche il plasma, che abbiamo raccolto ed usato anche nel Veneto. Non esiste una congiura contro il plasma, la cautela deriva dalla necessità di valutare i dati. A breve arriveranno i risultati dei protocolli e ne discuteremo senza preclusioni.
  6. Nella mia personale valutazione l’ossigenazione e la ventilazione sono fondamentali, il Veneto ha avuto buoni risultati anche per la presenza di 16 Pneumologie che hanno triplicato il loro numero di posti letto, e le Rianimazioni hanno fatto altrettanto. La Sanità Pubblica serve a questo, mantenere una rete efficace nei confronti di malattie frequenti come quelle respiratorie, pronte ad allargarsi in caso di necessità;
  7. Esiste una disciplina che si chiama risk management. Ora sarebbe il momento di ragionare sugli errori. Non per colpevolizzare qualcuno, ma per capire gli errori e non ripeterli in futuro. In questo dibattito è entrata purtroppo la politica: giudico gli interventi sanitari a seconda della tessera del Governatore o del Direttore Generale. Non è questo il metodo corretto, spero che le persone competenti, con la mente libera, sappiano analizzare con obiettività il passato e proporre modelli organizzativi efficaci per il futuro. Un esempio su tutti: la riapertura della scuola ed i trasporti;
  8. La diagnosi precoce è utile in tutte le malattie. Se riesco ad individuare i Pazienti con tamponi o dosaggio degli anticorpi posso isolare i pazienti, oppure curarli in una fase iniziale, senza arrivare all’intubazione o alla ventilazione;
  9. Il vaccino non è in antitesi con il resto delle misure, non devo scegliere tra vaccino, plasma o cure. Il vaccino serve a prevenire, lo aspettiamo;
  10. Gli Infermieri, i Medici, i Fisioterapisti hanno fatto un grandissimo lavoro. Ma non mi dimentico degli amministrativi, che hanno lavorato per assumere in tempi velocissimi, gli uffici tecnici, l’ingegneria medica e tutti questi servizi, che hanno ampliato reparti ed assicurato il materiale sanitario.

"Non siamo degli eroi"

"Ma non siamo degli eroi. Negli ultimi anni, nelle mie scorribande di lettore onnivoro, ho scoperto Rocco Schiavone, scontroso vice-questore creato dalla penna di Antonio Manzini. Nell’ultimo libro Rocco è ricoverato in Ospedale, e ci racconta così: 'l’Ospedale gli pareva un aeroporto. Con decolli e atterraggi. Nascita e morte, guarigioni e complicazioni, sorrisi e pianti. Una massa umana dolorante o sanata, piena di speranze o di illusioni. E intorno a loro i camici bianchi che aveva cominciato ad apprezzare ogni giorno di più. Uomini e donne col viso stanco, bruschi, sempre di fretta, rughe e occhiaie. Non avrebbe mai potuto fare il medico. Sapeva che sotto lo strato di cinismo, leggero come i camici che portavano, in fondo doveva esserci uno strato di amore. Altrimenti perché dedicare una vita a curare gli esseri umani? Rimetterli in pista? Lui gli esseri umani li detestava, fatta salva qualche eccezione. E non sopportava i lamenti e le ansie che gli altri gli scaricavano addosso'. E’ proprio così Rocco. Hai capito tutto, senza quella fastidiosa retorica.”

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