Con la mascherina e il distanziamento la carica virale del Covid si abbassa di mille volte
I risultati dello studio dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria condotto su quasi 400 pazienti che si sono rivolti al Pronto Soccorso da marzo a maggio.
L'importante tesi a sostegno dell'uso della mascherina.
Lo studio da Negrar
I risultati dello studio dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria a Negrar di Valpolicella sono stati citati anche dal Washington Post. Lo studio nello specifico è stato condotto su quasi 400 pazienti che si sono rivolti al Pronto Soccorso da marzo a maggio 2020. Quello che è emerso è che più bassa è la quantità di virus ricevuta al momento del contagio, meno gravi sono i sintomi della malattia.
L'importanza della mascherina
Più bassa è la quantità di virus che riceviamo al momento del contagio, meno gravi potranno essere i sintomi della malattia. Una tesi che è stata ribadita a sostegno dell’uso della mascherina, dell’igiene frequente delle mani e del distanziamento fisico e dimostrata per la SARS e la MERS, ma solo supposta finora per quanto riguarda il Covid-19. A supportarla scientificamente è stato lo studio dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, appena pubblicato su Clinical Microbiology and Infection e presentato in anteprima alla conferenza sul Coronavirus promossa alcune settimane fa dalla società europea di microbiologia clinica e malattie infettive.
Analisi retrospettiva
Quella realizzata dal team di ricerca del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali e microbiologia, diretto dal professor Zeno Bisoffi, è un’analisi retrospettiva sui 373 pazienti che hanno avuto accesso al Pronto Soccorso dal 1 marzo al 31 maggio 2020. L’obiettivo era di verificare se la diminuzione della carica virale avesse influito non solo sul numero assoluto di pazienti Covid che si sono rivolti al Pronto Soccorso, ma anche sulla gravità della malattia. L’infettivologa Dora Buonfrate ha spiegato:
“A metà marzo marzo il Paese è entrato in lockdown e il nostro pronto soccorso nello stesso mese ha registrato 281 accessi di persone positive che sono scese di oltre un terzo (86) in aprile e a 6 a maggio. Nello stesso periodo la percentuale dei pazienti per i quali si è reso necessario un ricovero in terapia intensiva è passata dallo 6,7% a marzo, 1,1% ad aprile e 0 a maggio”.
La biologa Chiara Piubelli, responsabile della ricerca biomedica ha aggiunto:
“Inoltre da marzo a maggio abbiamo rilevato con l’analisi molecolare sui tamponi naso-faringei una quantità di virus anche mille volte inferiore. Cosa che conferma quanto supposto da studi precedenti: una bassa carica virale corrisponde a una malattia meno grave”.
Sette giorni per l'insorgere dei sintomi
Questa progressiva diminuzione non può essere imputata né alla tempistica con cui è stato effettuato il tampone né alle terapie messe in atto sui pazienti. Piubelli ha inoltre precisato:
“L’intervallo di tempo tra l’insorgenza dei sintomi e il test molecolare non è cambiato significativamente nel tempo: una media di 7 giorni a marzo e di 5 giorni ad aprile. Inoltre la gestione del paziente è stata parzialmente modificata nel corso della pandemia, ma la valutazione clinica utilizzata per decidere il ricovero in ospedale e in terapia intensiva è rimasta sostanzialmente la stessa”.
Si riesce a ridurre la carica virale
A fare la differenza invece sono state le misure di blocco che, creando un ambiente a bassa trasmissione del virus, hanno determinato manifestazioni cliniche meno gravi. La dottoressa Buonfrate ha aggiunto:
“Una conclusione che conferma la validità delle misure di contenimento del virus: uso della mascherina, igiene frequente delle mani e distanziamento fisico. Solo così possiamo ridurre la carica virale sui contagiati e fare in modo che il sistema sanitario non vada in crisi per il ricorso agli ospedali, in particolare alle terapie intensive. E insieme scongiurare nuove drastiche misure di chiusura”.
Il virus può mutare?
E' una domanda che molti ormai si fanno: ma il virus non può aver subito mutazioni? A tal proposito le due ricercatrici hanno spiegato:
“Studi precedenti hanno rilevato mutazioni genetiche del virus, ma non per quanto riguarda la sua contagiosità”.