Inquinamento Pfas, nella zona «rossa» 14enni con valori alterati
È questo uno dei principali elementi valutati e condivisi dalla comunità scientifica, riunitasi mercoledì 22 febbraio, all’Ospedale Civile di Venezia

È questo uno dei principali elementi valutati e condivisi dalla comunità scientifica, riunitasi mercoledì 22 febbraio, all’Ospedale Civile di Venezia
L'inquinamento da Pfas continua a far discutere. Le sostanze perfluoro alchiliche (Pfas), rilevate in una vasta parte del Veneto, anche se secondo gli studi del Registro Tumori del Veneto non hanno portato ad alterazioni nella percentuale delle neoplasie registrate nell’area maggiormente compita, dall'altra ha fatto emergere alcune evidenze nella valutazione complessiva delle gravidanze dal 2003 al 2015, con un aumento delle gestosi, del diabete gravidico e dei bimbi nati più piccoli in proporzione all’età gestionale, dato quest’ultimo scomparso a partire dal 2013, anno nel quale sono stati messi in sicurezza gli acquedotti.
I primi esami del sangue, effettuati in cinquanta ragazzi di 14 anni residenti nella “zona rossa”, hanno evidenziato una presenza anomala di Pfoa (Acido Perfluoro Ottanoico) pari a una media di circa 64 nanogrammi/grammo, contro una media di 2-3 nanogrammi presente nelle persone monitorate al di fuori dell’area dell’inquinamento.
Sono questi i principali elementi valutati e condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale, riunitasi ieri, mercoledì 22 febbraio, all’Ospedale Civile di Venezia su iniziativa della Regione del Veneto, per un confronto sulla situazione determinata dall’inquinamento da Pfas in ventuno Comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova (120 mila abitanti coinvolti dei quali circa 80 mila nella zona “rossa” a più alta concentrazione), sulle iniziative di difesa sanitaria adottate e su quelle da realizzare in futuro.
Particolarmente qualificata la platea dei relatori, tra i quali il direttore del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità Eugenia Dogliotti; il direttore generale della sanità veneta Domenico Mantoan; la responsabile della direzione prevenzione Francesca Russo; Christof Hamelman dell’Ufficio Europeo per gli investimenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità con Marco Martuzzi del Centro di Salute e Prevenzione dell’OMS con sede a Bonn; Tony Fletcher, attuale responsabile della sanità pubblica britannica, l’uomo che ha studiato in prima persona un evento simile accaduto negli Stati Uniti; Kurt Streif, direttore dell’Agenzia Internazionale per la ricerca sul Cancro (IARC); Massimo Rugge, responsabile del Registro Tumori del Veneto; Karen Mackay, dell’Autorità Europea per la Salute Alimentare.
“È un momento per certi versi storico – ha tenuto a sottolineare l’Assessore alla Sanità Luca Coletto, impossibilitato a intervenire per la concomitanza di un’importante seduta della Commissione Salute a Roma – perché siamo gli unici che, seguendo un approccio rigorosamente scientifico e trasparente, manteniamo un confronto costante a livello internazionale, lavorando con l’ISS italiano e l’OMS. Mentre molti cavalcano le paure della gente diffondendo ora inesattezze ora falsità, a solo scopo di propaganda politica, noi abbiamo lavorato sodo e oggi gli acquedotti sono in sicurezza, sono attivi i monitoraggi sulle persone e sugli alimenti, è partito uno screening a tappeto che è l’unica via per ricevere risposte scientificamente fondate e indicazioni terapeutiche per curare chi avesse ricevuto un danno alla salute. Le chiacchiere le lascio volentieri ai cacciatori di consensi, il cui terreno di caccia preferito è purtroppo, da tempo, la sanità”.
In particolare, Mantoan ha riferito in anteprima i risultati delle analisi del sangue effettuate sui primi cinquanta ragazzi quattordicenni residenti nell’”area rossa”. “La presenza di Pfoa riscontrata – ha detto – è in linea con la media riscontrata l’anno scorso quando facemmo un campionamento su 500 persone di ogni età. Gli esami proseguiranno e si allargheranno a tutta la popolazione interessata, ma questo dato sui ragazzini ci fa supporre che l’emivita di queste sostanze possa essere superiore al previsto, considerando che da luglio 2013 questi ragazzi bevono acqua pulita e che evidentemente queste sostanze le hanno assorbite prima. Continuiamo comunque a monitorare, studiare e siamo pronti ovviamente anche a curare in caso di necessità. Sarà comunque un processo lungo e costoso, perché uno screening non è un’attività che oggi la fai e domani ti dà risposte”.
Marco Martuzzi, del Centro Salute e Prevenzione dell’Oms con sede in Germania, ha condiviso “la positività delle strategie d’intervento sinora adottate sul fronte sanitario” “L’Oms – ha detto – partecipa con convinzione al lavoro della Regione e dell’Iss, che è già un prezioso punto di riferimento per la definizione delle linee guida internazionali che stiamo elaborando su questa specifica problematica”.
Tony Fletcher ha illustrato l’esperienza fatta seguendo un caso simile accaduto in Ohio a inizio anni 2000, quando le persone coinvolte furono circa 60 mila ed ha precisato che attualmente, oltre a quello americano e a quello veneto, si è a conoscenza di un solo altro episodio, accaduto in Svezia nelle vicinanze di un aeroporto e causato dallo sversamento delle schiume antincendio. Fletcher ha ripercorso le attività effettuate nel caso americano ed ha giudicato “con molto favore” ciò che si sta facendo in Veneto. Richiesto dai giornalisti, Fletcher ha riferito che, in Ohio, “l’Azienda emersa come responsabile dell’inquinamento ha interamente finanziato la depurazione delle acque e versato un’ammenda di seicento milioni di dollari. Ora – ha detto - sono in piedi circa millecinquecento cause singole di risarcimento danni”.