Alcol, pericolo «rosa»
Sempre più donne si rivolgono al Sert di Villafranca e il Serd di Bussolengo

Sempre più donne si rivolgono al Sert di Villafranca e il Serd di Bussolengo
Tempo natalizio, tempo di brindisi cordiali e di bollicine. Di serate in casa e di ospiti a cui vuoi mica non offrire un amaro? Ma, parafrasando un vecchio manifesto politico, «uno spettro si aggira per il Villafranchese: lo spettro dell’alcol». E non si parla del consumo corretto dei nostri patrimoni eno-culturali, bensì delle situazioni di abuso che non conoscono freno. Oggi il pericolo nelle nostre zone non è «rosso» ma «rosa». È in aumento, infatti, il numero di donne che fa un uso patologico delle sostanze alcoliche. Ne abbiamo parlato con colui che in tema di dipendenze è un’autorità: Raffaele Ceravolo, direttore del Dipartimento dipendenze e direttore del Dipartimento di salute mentale della Ulss 22. A lui fanno capo il Sert di Villafranca e il Serd di Bussolengo.
Questi centri storicamente in Veneto avevano come prevalente l’ingresso di alcolisti più che di tossicodipendenti, mentre negli anni neri dell’eroina Bussolengo e Villafranca registravano un trend opposto. «Rispetto all’alcolismo all’inizio non c’erano grandi numeri, mentre negli ultimi anni c’è stata sicuramente una escalation. È aumentato l’invio di soggetti da parte della Commissione medica provinciale a causa dei fermi per superamento del limite alcolemico da parte dei guidatori: a noi tocca stabilire se la persona è incappata in una “disattenzione ” occasionale o se invece soffre di una dipendenza», ci spiega Ceravolo. Ma la grande novità è il numero di donne che si rivolge ai Sert e ai Serd: «Diciamo che dalle due donne su dieci siamo passati a quattro. Un collega psichiatra ci ha aiutato ad interpretare questo dato, ed è riferibile alla emancipazione della donna: sembra che il sesso femminile abbia assunto anche gli aspetti negativi della parità di genere, dedicandosi ad attività francamente nuove, come aperitivi, superalcolici ecc. Ormai chi dice “andiamo a bere un the” alle amiche?» si chiede il medico.
Il vero allarme risale ad una decina di anni fa: «Con la Ulss avevamo sondato i ragazzini delle medie con alcuni questionari. Chiedevamo cosa offrissero i genitori agli ospiti e cosa avrebbero offerto invece loro agli uomini e alle donne: papà e mamma offrivano raramente alcol alle donne, loro invece lo avrebbero fatto», ci spiega Ceravolo, a cui chiediamo se la situazione nei nostri territori sia sotto controllo: «Sotto controllo non proprio. Noi come servizio siamo recettori della punta dell’iceberg: qui arrivano gli invii coatti o coloro che sono ormai in una situazione grave. Ma prima di loro c’è una galassia fuori monitoraggio».
Qual'è dunque la soluzione? «L’educazione. Noi a livello regionale ci rivolgiamo ai bambini delle quinte elementari. Non parliamo di sostanze, ma cerchiamo di far capire che tutti i messaggi che provengono dall’esterno devono essere valutati criticamente. Mostriamo anche delle illusioni ottiche, dove ciò che sembra non sempre è. Una volta abbiamo proposto due tipologie di spot per sensibilizzare al tema dell’alcolismo. Abbiamo chiesto loro di scegliere tra il minaccioso, qualcosa come “Se bevi troppo muori”, e il razionale, “Prima di bere pensa che puoi essere pericoloso per te e per gli altri”. I bambini hanno sempre scelto quelli con la capacità di stimolare un ragionamento critico, quelli che si rivolgono alla testa e non alla pancia». Il capo dei centri per la dipendenza ci lascia con un messaggio: «Bisogna essere protagonisti della propria vita, non lasciare che siano alcol, droga, azzardo ecc.».