Alice Manganotti: "Aiuto le donne a cambiare"

«Io femminista? No, ma il modo di fare impresa di questi anni ci spinge a comportarci come uomini, cancellando le nostre peculiarità»

Alice Manganotti: "Aiuto le donne a cambiare"
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«Io femminista? No, ma il modo di fare impresa di questi anni ci spinge a comportarci come uomini, cancellando le nostre peculiarità»

E’ complesso dare una definizione esatta del lavoro di Alice Manganotti, 35enne originaria di Marchesino. Potremmo dire che si occupa di marketing strategico aziendale, ma lascerebbe fuori tutto il suo lavoro di costante ricerca relativo alla psicologia del cambiamento e ai laboratori femminili, vera novità del 2017: il prossimo sarà il 9 settembre a Verona. La giovane buttapietrina dopo la laurea in Scienze della Comunicazione si era trasferita a Milano: «Mi era pesato lasciare il mio paese e i “detti” di mia zia, ma volevo qualcosa di più qualificante e ho deciso di andare a Milano per seguire un corso specialistico interfacoltà tra Scienze politiche ed Economia ad indirizzo marketing».

E’ in quegli anni che Alice, per pagarsi gli studi, sperimenta i primi «insegnamenti» professionali della sua vita: un banchetto di frutta e verdura al mercato: «Il venerdì e il sabato mi alzavo alle 6 per guadagnare qualcosa. Il titolare mi ha dato le prime “colorite” nozioni di marketing, diciamo così». Dopo la laurea le viene proposto di iniziare un percorso di inserimento tramite stage da Calzedonia o alle Terme di Sirmione. Alice sceglie queste ultime, dove rimane circa tre anni nel reparto marketing, ricerca e sviluppo: «Una grande esperienza accanto ad una manager di Accenture, leader nella consulenza. E sempre in questo ambito ho conosciuto Anna Zanardi, una istituzione della psicologia del cambiamento. Li mi si è accesa una lampadina e ho capito che il contesto aziendale non faceva per me».

Dopo lo stage Alice trova lavoro nel reparto marketing di un’altra azienda, ma negli anni della crisi, dall’oggi al domani, in blocco lei e i suoi colleghi vengono lasciati a casa: «Vivevo da sola, avevo bisogno di soldi e ho fatto anche la badante. L’ ho vista non come un dramma ma come un’occasione per mettermi in proprio e come prima spesa ho stampato i biglietti da visita e aperto il sito internet. Da lì è iniziata la fase 2.0 della mia vita». Dal 2011 al 2016 lavora con una decina di piccole imprese l’anno con esigenze e problematiche diverse in modo tale da avere un contatto diretto con i decisori aziendali. I progetti duravano dai 3 ai 6 mesi, ed erano legati soprattutto alla comprensione dei nuovi strumenti di marketing. Ma lavorare con gli imprenditori non le permette di sperimentare e mettersi in gioco direttamente così, con l’ennesimo colpo d’ala: dà vita all’esperienza dei laboratori femminili pratici, gruppi in cui si lavora con strumenti interdisciplinari come economia, psicologia e sociologia, per far emergere i propri talenti e costruirsi un lavoro sulle proprie passioni, o valutarne anche solo l’opportunità: «Ho trovato le donne molto più disposte al cambiamento, a rimettere in discussione certe idee, ad essere più mentalmente flessibili. Mi sono rivolta a chi si trovava in un momento di crisi ed era alla ricerca di nuove opportunità di lavoro basandosi sui propri talenti e su ciò che davvero piace fare alle persone».

Alla base l’idea di «personal branding», ovvero diventare la marca di se stessi, ed è quello che Alice insegna alle «sue» donne, anche il verbo che preferisce è «educare»: «Mi dicono: non so fare altro rispetto a quello che facevo prima. In realtà devono attingere a qualcosa di creativo e di innovativo. E’ un lavoro grosso, perché bisogna ritornare a capire quali erano le nostre attitudini». Chiediamo ad Alice se questa scelta non sia etichettabile come «femminista»: «Non mi piace questa parola: io ho lasciato la mia azienda perché ci stavano facendo diventare degli uomini, con le caratteristiche della competizione maschile che le donne non hanno. Noi abbiamo capacità diverse da valorizzare, viene snaturata la nostra essenza e il sistema così non regge più. Serve un passo indietro e tornare ad avere una nostra natura “morbida”».

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