«Avevo un tumore e mi hanno licenziata»

L’incredibile storia di Ombretta Zigiotto, residente a Lugagnano. È stata in malattia più di 180 giorni per curarsi e sottoporsi all’intervento al cervello per rimuovere il cancro benigno alle meningi

«Avevo un tumore e mi hanno licenziata»
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L’incredibile storia di Ombretta Zigiotto, residente a Lugagnano. È stata in malattia più di 180 giorni per curarsi e sottoporsi all’intervento al cervello per rimuovere il cancro benigno alle meningi

«Mi sono ammalata di tumore al cervello. Ho beneficiato della malattia per curarmi e per l’intervento ma, quando ormai ero pronta a rientrare a lavoro, sono stata licenziata». Nel racconto di Ombretta Zigiotto non c’è spazio per lacrime o per cedimenti: ha superato un cancro, seppur benigno, alle meningi, e nulla oggi le fa paura. La donna di Lugagnano per 17 anni ha lavorato sempre nello stesso negozio sportivo all’interno della Grande Mela (completamente estranea alla vicenda, ndr.) come cassiera, con contratto part-time a tempo indeterminato: mai un problema, mai un richiamo, mai una lamentela. Mai, fino allo scorso agosto quando, dopo alcuni malori e sintomi vertiginosi, si sottopone ad alcuni accertamenti il cui verdetto è terribile: tumore al cervello, benigno, ma che causa diversi disturbi e rischi per il futuro.

Così, dopo aver informato il direttore del punto vendita, la donna il 16 agosto si mette in malattia: «Il 15 settembre il verdetto: si trattava di un meningioma, solo qualche giorno dopo mi hanno detto che era benigno. Mi sottoponevo ad esami e trattamenti a giorni alterni, e continuavo sempre ad aggiornare il direttore». Per 154 giorni, quasi settimanalmente, aggiorna l’azienda sul decorso della malattia, chiedendo anche di poter inviare documentazione o certificazione medica. Un numero, 154, importante. Il Codice civile prevede infatti che l'azienda debba conservare il posto di lavoro del dipendente in malattia nei limiti del «comporto», un periodo stabilito dai contratti collettivi. Nel caso di Ombretta si tratta di 180 giorni nell’anno solare.

«Sono rientrata il 7 febbraio, senza beneficiare di trattamenti di favore o altro. Diciamo che il mio direttore non mi ha accolto proprio a braccia aperte, facendomi pesare l’assenza di quasi sei mesi e il fatto che, rientrata, non avessi detto cosa pensavo dei cambiamenti all’interno e altre inezie; durante la malattia lui non mi ha mai chiamata. Sono tornata a fare il mio lavoro fino ai primi di giugno, quando i medici di Borgo Trento mi hanno comunicato la data dell’intervento di radiochirurgia stereotassica: c’è una lunga lista d’attesa e lo eseguono solo quattro ospedali in Italia alla media di uno al giorno. Lo comunico subito al mio direttore, il quale, sorridendo, mi dice: “Ecco, 21 giugno... in periodo saldi”».

Il periodo di malattia, inizialmente di 10 giorni, viene comunicato il 20 giugno, giorno in cui Ombretta viene ricoverata per prepararsi all’inter vento, che sarebbe stato il giorno dopo. Tutto procede per il verso giusto e l’unico desiderio della donna, uscita dall’ospedale, è proprio quello di tornare a lavoro e alla sua vita «normale». A fine giugno comunica al suo direttore che il 17 luglio, finalmente, sarà pronta per tornare definitivamente al suo posto perché il tumore era stato definitivamente sconfitto. Alle 11.33 del 30 giugno, al superamento dei famosi 180 giorni di malattia, l’azienda manda la raccomandata di licenziamento: «E’ stato un fulmine a ciel sereno. Nessuno dall’azienda o dal negozio mi aveva anticipato nulla. Io stavo solo pensando a guarire dal tumore, mentre nel frattempo loro stavano già organizzando il licenziamento: bastava mi avvertissero, e sarei andata in aspettativa non retribuita pur di salvare il posto di lavoro... evidentemente l’occasione di liberarsi di un contratto a tempo indeterminato era troppo ghiotta».

Ombretta, aiutata e sostenuta da suo marito, si rivolge subito al suo sindacato, la Cgil, che proprio in questi giorni sta preparando l’impugnazione del provvedimento. La donna, in sintesi, si è ritrovata licenziata quando ancora era in malattia e il tutto è legalmente ineccepibile: «Ho lavorato lì 17 anni delle mia vita, avevo mansioni e responsabilità anche oltre il mio contratto, ma facevo tutto perché ormai era la mia famiglia. Quando sono andata salutare i colleghi, il giorno in cui ho ricevuto il licenziamento, il mio direttore si è detto dispiaciuto e mi ha chiesto come stavo: “Sto bene, sono guarita, mi sono tolta un grande peso e ora sto pagando in questo modo” ho risposto».

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