Cgil Verona: "Il Veneto non è una Regione per donne, guadagnano il 30% in meno degli uomini"
Il “modello veneto” non supera la prova della parità di genere.

Il cosiddetto modello veneto arranca vistosamente sulla parità di genere.
L'analisi dei dati
Dall’elaborazione delle ultime dichiarazioni redditi Modello 730 condotta dal Caaf Cgil Nord Est su un campione di 286.519 utenti di cui 141.842 lavoratori dipendenti, 128.086 pensionati e altri 16.591 diversamente inquadrati, risulta, per tutte le province venete, un divario reddituale tra uomini e donne nell’ordine del 30% in sfavore delle donne tra le lavoratrici e del 40% tra le pensionate. Non si ravvisano territori virtuosi: il divario tra il reddito dichiarato dalle lavoratrici e quello dichiarato dai lavoratori va da un minimo del 29,2% di Belluno ad un massimo del 34,1% di Venezia. Tra i pensionati il gap minore si trova a Rovigo con il 34% e quello maggiore a Vicenza con il 44,8%. La media veneta del gap è rispettivamente del 31,1% tra le lavoratrici e del 38,9% tra le pensionate.
Un grande divario
La provincia di Verona presenta un divario del 29,4% tra le lavoratrici e del 37,2% tra le pensionate. Sono donne il 75% dei lavoratori dipendenti veronesi che percepiscono un reddito inferiore ai 10 mila euro annui. Salendo di fascia di reddito la componente femminile si assotiglia e quella maschile aumenta: nella fascia 10-20 mila euro le donne sono il 65%; nella fascia 20-30 mila euro sono il 41%; nella fascia 30-40 mila euro sono il 31%. Nella fascia più alta, oltre i 40 mila euro, le donne sono il 25% e gli uomini sono il 75%.
Elevata la sottoccupazione
A pesare sulla condizione femminile c’è sicuramente la sottoccupazione a cui le donne spesso vengono costrette anche a causa della iniqua distribuzione dei carichi famigliari. Ma pesa anche un vero e proprio gap salariale che a parità di livello e orario vede le donne guadagnare, in media, il 35% rispetto ai colleghi uomini, con punte del 50% nelle posizioni apicali.
Un altro fattore di squilibrio è dato dalla precarietà e dalla scarsa qualità del lavoro: se è vero che dopo la grande crisi del 2008-2009 il tasso di occupazione femminile nella nostra regione è tornato a crescere fino a raggiungere il 59% della fine del 2019 (tra i più altri in Italia ma pur sempre distante da quello maschile del 76%) è anche vero che questa crescita è avvenuta nei settori congiunturalmente più esposti che la recente crisi sanitaria da Covid 19 ha messo in ginocchio, preparando dunque il terreno per un nuovo smottamento verso il basso.
Inca Cgil registra che il 60% delle richieste di bonus
Non a caso il Patronato Inca Cgil registra che il 60% delle richieste di bonus 600 euro inoltrate quest’anno nel settore turismo è prevenuto da donne, e anche i dati di posti di lavoro persi durante l’emergenza sanitaria hanno riguardato in particolar modo donne e giovani. Si aggiunga poi che durante il lockdown il congedo parentale straordinario Covid (che copre il 50% dello stipendio) è stato richiesto per il 79% da donne e per il 21% da uomini.
A questa condizione corrisponde un clima di regressione politica e culturale che negli ultimi anni ha visto proprio il Veneto come epicentro di un’ondata reazionaria, misogina, omofoba e patriarcale che punta a riproporre un'idea di famiglia in cui la donna è subalterna e relegata al solo lavoro di cura.
Veneto sì... ma non per donne
Appunta il segretario provinciale Cgil Stefano Facci:
“Come dice il segretario regionale Christian Ferrari, l’analisi dei dati nudi e crudi ci suggerisce che il Veneto non sia una regione per le donne. Ma le donne sono soltanto le prime vittime di una criticità nota e finora mai affrontata che investe sempre più drammaticamente anche le nuove generazioni: il lavoro povero e precario, che si traduce in condizione di fragilità economica e sociale, segnando la vita delle persone ed esponendole, soprattutto nella vecchiaia, al rischio di marginalità sociale e solitudine”.
Facci ha concluso:
“Oggi più che mai è chiaro che che se arretra la condizione femminile arretra tutta la società. Abbiamo bisogno di nuove forme di protezione sociale e di servizi che rispondano alle esigenze di conciliazione. La copertura in Veneto dei servizi per la prima infanzia è al di sotto degli obbiettivi europei del 33% (27%) e pur essendo sopra la media nazionale siamo l’ultima regione del nord. Occorre garantire la piena attuazione della legge regionale sulla non autosufficienza e disporre nuove politiche in grado di favorire l’ingresso delle donne nel lavoro, percorsi per la riqualificazione e misure di vigilanza per contrastare i fenomeni discriminatori e sessisti”.



