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Devastanti effetti psicologici del Coronavirus sugli operatori, Madera: "Ha disumanizzato e creato ansie"

Una testimonianza forte che fa comprendere la criticità della pandemia vista con gli occhi degli operatori sanitari.

Devastanti effetti psicologici del Coronavirus sugli operatori, Madera: "Ha disumanizzato e creato ansie"
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Sono devastanti gli effetti psicologici degli operatori che hanno vissuto l'emergenza Coronavirus in prima persona cercando di salvare i pazienti affetti.

Un gravissimo impatto

Distaccamento, disumanizzazione, sentirsi una minaccia per gli altri, ansia. Sono solo alcuni degli effetti psicologici che hanno subito gli operatori sanitari in questi pesanti mesi di pandemia. Ne ha parlato il dottor Pietro Madera, direttore del Servizio di Psicologia clinica Ospedaliera dell'Ulss 9 Scaligera che oggi, mercoledì 20 maggio 2020 era ospite nella videoconferenza del direttore generale dell'Ulss 9 Scaligera, Pietro Girardi:

E' evidente che il virus ha creato un grandissimo impatto, ha rivoluzionato il modo di lavorare di tutti gli operatori ma ha anche attivato una serie di ansie e angosce, paure connesse al virus. In questi mesi è nata la paura subdola che è stata una nostra primissima preoccupazione riuscire a occuparci del benessere psicologico degli operatori che erano in prima linea”.

La paura di sentirsi una minaccia

Il dottor Madera ha spiegato:

Siamo stati tutti più o meno coinvolti nell'atmosfera della terribile minaccia, una delle grandissime angosce e paure che avevano gli operatori è stata quella di contagiarsi. Non solo per sé stessi ma avevano l'angoscia di contagiare i colleghi e i propri familiari. Essere una minaccia per le persone che più amiamo, le persone che noi curiamo, proteggiamo. Quel momento in cui tornavano a casa non rappresentava più un momento di condivisione ma di angoscia devastante per i lavoratori. Si trovavano indifesi a gestire una minaccia subdola e fuori controllo”.

La disumanizzazione del virus

Il direttore del Servizio di Psicologia clinica Ospedaliera ha proseguito:

“Un'altra ansia che gli operatori hanno manifestato è stata la sofferenza legata alla disumanizzazione del virus. Ci siamo trovati di fronte a un virus che ha impedito e asciugato le relazioni. Gli infermieri che prima avevano delle interazioni con i pazienti, si sono trovati con un virus che ha creato una distanza fisica sconvolgente, a tal punto che ho visto infermieri e personale sanitario soffrire per la mancanza di poter dare sollievo e conforto, il loro sta vicino alle persone avveniva attraverso gli occhi. Non c'era possibilità di contatto umano”.

L'attività di supporto

Avendo intuito l'angoscia del personale, è stato messo in atto a metà marzo l'attività di supporto psicologico alla fine del turno. A tal proposito il dottor Madera ha spiegato:

“Abbiamo creato dei piccoli gruppi dove controllavamo gli operatori e facevamo con loro delle attività di alleggerimento emotivo per scaricare la pressione lavorativa e psicologica prima di andare a casa ed evitare che potessero diventare disturbi pesanti in futuro. Tutti i pomeriggi alla fine del turno c'era un momento di coinvolgimento di tutti gli operatori del Pronto soccorso, lungo degenza e tutte le aree di sanità coinvolte. Veniva praticato e viene fatto ancora adesso, una breve metodica di rilassamento per portare sollievo in termini di profilassi, per evitare che l'angoscia potesse andare a sfociare in situazioni croniche che avrebbero richiesto tempo ed energie.

Numerose le prestazioni

Sono circa 150 le prestazioni erogate con oltre 120 operatori, consulenza individuale con operatori dove c'erano delle particolari esigenze che richiedevano un percorso lungo rispetto al solo inconto di alleggerimento. E' stata attivata la linea telefonica per fornire il giusto supporto ed è stato predisposto un audio di rilassamento a disposizione dei sanitari che ne hanno fatto richiesta.

Grande supporto a Marzana

Il direttore del Servizio di Psicologia clinica Ospedaliera ha concluso:

A Marzana per i pazienti ricoverati abbiamo contattato tutti i familiari per dare loro conoscenza clinica del paziente ma soprattutto per toglierli quel sentimento di abbandono e isolamento che vivevano pazienti e famigliari. Devo dire che operatori e pazienti sono stati straordinari per la creatività e resilienza nelle interazioni. Alcuni operatori quando tornavano a casa avevano dei figli di due o tre anni che giustamente gli correvano incontro, allora si sono inventati l'abbraccio da dietro. Alcuni invece hanno pensato all'occhiolino come metodo di vicinanza. Non sono mancati gli episodi di pazienti e operatori che non hanno più retto, si sono abbracciati e sono crollati in un pianto liberatorio. Voglio ricordare che la salute è importante ma lo è anche la salute psicologica. Ora abbiamo degli operatori che hanno contratto il virus che ora, finito il periodo di quarantena, hanno paura di tornare 'sul luogo del delitto', dove hanno preso il virus. Non è una situazione semplice”

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