Disastro Antonov, la gran vergogna

La Corte d'Appello di Venezia ha ridotto il risarcimento ai familiari delle vittime del disastro aereo nei pressi dell’aeroporto «Catullo». La motivazione è che «i passeggeri ebbero pochi secondi per capire che l'aereo sarebbe precipitato, quindi il danno è stato inferiore

Disastro Antonov, la gran vergogna
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La Corte d'Appello di Venezia ha ridotto il risarcimento ai familiari delle vittime del disastro aereo nei pressi dell’aeroporto «Catullo». La motivazione è che «i passeggeri ebbero pochi secondi per capire che l'aereo sarebbe precipitato, quindi il danno è stato inferiore

Risarcimento ridotto perché si è ritenuto «che non vi fosse prova della consapevolezza in capo ai passeggeri della catastrofe imminente, né che potesse presumersi, considerato il breve lasso di tempo intercorso tra la caduta e il decesso». E quindi ai parenti delle vittime della tragedia dell’Antonov non spettano più 50 mila euro bensì 20 mila.

Secondo i giudici della Corte d’Appello di Venezia che si sono espressi sul ricorso presentato dagli eredi della compagnia aerea romena proprietaria del velivolo e dall’aeroporto «Catullo», non è possibile riconoscere il danno «catastrofale»: i passeggeri si resero conto che l’aereo stava precipitando solo 12 secondi prima dell’impatto e della loro consequenziale morte. Troppo poco tempo, troppo poco terrore, insomma. La Corte ha confermato «la sentenza del Tribunale di Venezia nella parte in cui ha dichiarato la responsabilità, nella determinazione del disastro aereo avvenuto il 13 dicembre 1995, del Ministero dei Trasporti nella misura del 20 per cento, dell'Aeroporto Valerio Catullo, nella misura del 20 per cento, e di Banat Air Service – Compania Romana de Aviate Romavia SA – Giubi Tour, già Business Jet, in solido per il restante 60 per cento».

Le cause del disastro, come acclarato in sede penale con sentenza definitiva, sono state individuate nella mancata operazione di de-icing, sbrinamento delle ali, doverosa con le condizioni atmosferiche esistenti al momento del decollo, e nella condizione di sovrappeso del veicolo. Ma si può davvero valutare come e in che misura le 49 vittime vissero il terrore della fine imminente? In quella maledetta sera di Santa Lucia l’aereo era decollato alle 19.54 e, dopo essere giunto ad un’altitudine di circa 150 metri, aveva iniziato a perdere quota, inclinandosi vistosamente a destra, e aveva quindi impattato a terra a circa un chilometro dall’aeroporto, a destra della pista, un minuto dopo il decollo.

La fase della caduta è durata circa 12 secondi ma, ad avviso del collegio, «tale tempo, seppur limitato, e stato sufficiente ai passeggeri per apprezzare l’imminente schianto a terra del veicolo e la prospettiva di una morte quasi certa. (...) Cio ha sicuramente permesso, seppur per pochi secondi, ai passeggeri di essere consapevoli che l’aereo non stava proseguendo nella manovra di decollo, ma stava viceversa precipitando, con la conseguente consapevolezza del proprio destino infausto. Con riguardo alla quantificazione, ad avviso di questo collegio, va tenuto conto del brevissimo lasso di tempo in cui e durata la consapevolezza dell’approssimarsi della morte, sicché la quantificazione operata dal primo giudice in via equitativa non appare congrua ed andrà diminuita a 20mila euro per ciascuna delle vittime, fermo il resto».

Una sentenza che ha lasciato senza parole il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della sciagura, Francesco Zerbinati, che vive a Peschiera. Sul quel volo viaggiava la sua fidanzata, Stefania Modesti, 27 anni: «Vorrei sapere per quale ratio se uno vive per meno tempo il terrore ha diritto ad un minore risarcimento. Vorrei chiedere a questi magistrati se prima di prendere questa decisione hanno provato a fare l’esercizio di immaginare loro figlio o la loro moglie su quel seggiolino per 12 secondi, con consapevolezza che loro vita stava per finire» si chiede Zerbinati che conduce questa battaglia per puro senso di giustizia, visto che non ha diritto ad alcun risarcimento.

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