a Verona

Eseguita l'autopsia sul corpo di Moussa Diarra: ad ucciderlo, un unico colpo al petto

Il 26enne del Mali è stato ucciso domenica 20 ottobre da un poliziotto in stazione Porta Nuova. Dall'esame medico legale emergerebbe la possibilità che l’abbia sfiorato un altro dei tre colpi di pistola esplosi

Eseguita l'autopsia sul corpo di Moussa Diarra: ad ucciderlo, un unico colpo al petto
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Un unico colpo di pistola ravvicinato al cuore ha provocato la morte di Moussa Diarra, il 26enne del Mali ucciso domenica 20 ottobre 2024 alla stazione dei treni Verona Porta Nuova. A confermarlo l'autopsia effettuata ieri, giovedì 24 ottobre, nella sede di Medicina legale del Policlinico cittadino dalla professoressa Federica Bortolotti. Presente anche la consulente di parte civile Gabriella Trenchi e la Polizia scientifica, in particolare per l'esame sugli abiti del giovane.

Moussa Diarra ucciso da un unico proiettile al petto

Quattro ore è durata l’autopsia sul corpo di Moussa Diarra, il 26enne del Mali ucciso domenica alla stazione di Verona Porta Nuova da un colpo di pistola sparato da un agente della polizia ferroviaria, che il giovane aveva aggredito con un coltello.

Il proiettile che ha causato la morte del giovane ha raggiunto il torace dalla parte del cuore. Al vaglio però c’è la possibilità che un altro l’abbia sfiorato, tra la spalla e il collo: quello finito contro il vetro dell’ingresso al parcheggio sotterraneo.

Il vetro al parcheggio sotterraneo di Verona Porta Nuova

Dall’esame non ci sarebbero ustioni attorno al foro di proiettile: il che vorrebbe dire che il colpo non sarebbe partito da una distanza inferiore ai dieci centimetri. Su questo, però, e sulla traiettoria degli spari dovrà essere una perizia balistica, al momento non ancora disposta, a dire l’ultima parola.

Si attende l'esito anche di altri test

Ancora presto per capire se Diarra avesse assunto alcol o sostanze stupefacenti quella sera: a tal proposito, servirà qualche giorno per l’esito degli esami tossicologici.

Quello che invece si può supporre è che i segni sulla schiena del giovane siano compatibili con torture subite in passato: forse durante la sua permanenza in un centro immigrati in Libia prima di raggiungere l’Italia.

Moussa Diarra

Il perito nominato dal pubblico ministero, la dottoressa Federica Bortolotti, avrà ora 70 giorni per consegnare le sue conclusioni: con lei, ha partecipato alle analisi la dottoressa Gabriella Trenchi, che rappresenta il fratello della vittima.

Intanto la scorsa domenica il polfer si è subito sottoposto all’interrogatorio con il pm e ha consegnato il suo cellulare, oggetto anch’esso di una perizia. L'agente ha rinunciato a una propria perizia, affidandosi con fiducia al lavoro della Magistratura.

Un passato difficile

Moussa, 26 anni, era arrivato in Italia nel 2016, percorrendo la medesima odissea che migliaia di migranti affrontano: dal Mali attraverso l’Algeria e la Libia, fino a sbarcare a Lampedusa. A Verona aveva trovato un impiego come lavoratore agricolo con contratto regolare. Tuttavia, da tempo era preda di un profondo malessere, come spiegato dal fratello Djembang.

Negli ultimi mesi, specialmente dopo la morte del padre in Mali avvenuta tre mesi fa, aveva smesso di parlare e trascorreva le sue giornate al “Ghibellin Fuggiasco”, dove Moussa si era stabilito.

Il 10 ottobre scorso avrebbe dovuto rinnovare il permesso di soggiorno con il suo contratto agricolo, ma qualcosa lo aveva fermato. Nonostante le rassicurazioni degli amici e i tentativi di incoraggiarlo a trasferirsi altrove, Moussa aveva scelto di restare, fino alla tragedia di domenica mattina.

Suo fratello chiede ora la verità, vuole capire cosa sia davvero accaduto quel giorno: un ragazzo da tutti descritto come mai violento, che però secondo le prime ricostruzioni quella mattina aveva spaccato vetrine e agitava un coltello.

Cosa occorre ancora accertare

Restano alcune incognite da sciogliere circa la dinamica dell'omicidio, che sembra a questo punto sia maturato nel corso di un incontro molto ravvicinato, se non addirittura un corpo a corpo.

Il primo interrogativo al quale gli inquirenti stanno cercando di dare risposta è se l'agente che ha sparato avesse alternative.

La pattuglia della Polfer era abilitata ad esempio all'uso dei taser? Se sì, li avevano in dotazione quella mattina e hanno deciso di non utilizzarli, oppure ne erano sprovvisti?

Inoltre prima del colpo, il poliziotto ha seguito correttamente la procedura, che prevede prima un richiamo verbale ("Abbassa il coltello o sparo"), poi un colpo in aria, quindi un eventuale sparo ad organi non vitali e, extrema ratio, un colpo anche indirizzato verso organi chiave nell'impossibilità di fermare l'aggressore?

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