Isola della Scala, parla l'albergatore dei migranti

Marco Tinto è uno dei fratelli proprietari dell’hotel «La Zona», finito nel mirino di alcune associazioni per la scelta di ospitare i richiedenti asilo

Isola della Scala, parla l'albergatore dei migranti
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Marco Tinto è uno dei fratelli proprietari dell’hotel «La Zona», finito nel mirino di alcune associazioni per la scelta di ospitare i richiedenti asilo

Marco e Gianni Tinto sono i proprietari dell’hotel «La Zona» di Isola della Scala, realtà da loro fondata nel 1976 dopo la gestione di un bar in centro paese. L’hotel è recentemente finito nell’occhio del ciclone per la scelta di convertirlo in struttura per l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. «Verona ai veronesi» e «Isola da difendere» hanno addirittura organizzato una manifestazione contro gli albergatori chiamandoli «fallimentari». Abbiamo incontrato Marco Tinto proprio nell’hoteldella discordia. I 92 migranti che ospita sono tutti via per corsi di formazioni e attività esterne.

«Fallimentari? Noi siamo qui a darci da fare. Prima lavoravamo molto con le ditte locali, soprattutto durante il raddoppio della ferrovia. I problemi sono cominciati con la tangenziale che ci ha tagliati fuori. Tenere aperto era diventato durissimo, così mi è venuta l’idea di mettere a disposizione la struttura per l’accoglienza: con 20mila euro all’anno di Imu e Tari l’alternativa era chiudere. Per me è lavoro, io non faccio volontariato» spiega Tinto.

Tecnicamente si tratta di una «cosa a tre», un Cas: a gestire tutto qui ci sono gli albergatori, la cooperativa Spazio aperto e la Prefettura. I primi migranti qui sono arrivati nell’aprile del 2015, ma le polemiche sono scoppiate solo adesso. Perché? «Non so - risponde il titolare della Zona - C’è questo gruppo locale... poche persone perché la maggior parte viene da Verona. Per carità, su alcune cose hanno ragione, ma il problema non sono io che faccio il mio lavoro». Chiediamo a Marco se abbia paura, ma non risponde: «A Isola non sono tutti come questi qui. La settimana scorsa dei compaesani hanno portato alcuni beni e quattro borsoni di vestiti per i ragazzi. Questo lavoro si può fare bene o male: noi li trattiamo benissimo e a queste persone che protestano dico: venite qui, beviamo una birra, ascoltate le loro storie. Lo so, 100 migranti per Isola sono tanti e stanno qui per troppo tempo, però cosa possiamo farci noi? Non puoi protestare senza sapere... abbiamo assunto altre due persone, paghiamo il fornaio che ci porta il pane, l’elettricista... indirettamente diamo lavoro a tanti isolani».

E il rapporto con l’Amministrazione comunale di Stefano Canazza? «Ottimo. Lo scorso anno insieme abbiamo fatto lavorare i migranti per sei mesi: hanno pitturato le scuole elementari e altre strutture pubbliche, hanno pulito le strade. Tutto questo finché c’era un operatore del Comune in cassa integrazione che li accompagnava. Quando è andato in pensione è finito tutto. Si potrebbe continuare...». Qui alla Zona la giornata inizia alle 8, con le colazioni. Poi i «ragazzi», come li chiama Tinto, tutti uomini e quattro donne, seguono le attività organizzate dalla cooperativa. A mezzogiorno il pranzo e poi, alla sera, la cena. Ed è alla sera che il gestore è tenuto a fare l’elenco dei presenti. Dopo la terza assenza consecutiva scatta la segnalazione alla Prefettura per allontanamento: «Succede spesso, che anche senza aver ottenuto i documenti spariscono e non tornano più. Con molti di loro parliamo, ascolto le loro storie, quasi tutte terribili ma non sono tutte rose e fiori: c’è stato un periodo in cui c’era un gruppetto con a capo un “boss”. Se si lamentava del cibo i suoi “adepti” lo seguivano. Poi lo abbiamo mandato altrove. E quando qualcuno pretende o esagera io sono molto chiaro... sono ragazzini, esattamente come i coetanei italiani». Ogni tanto qualcuno rimane qualche periodo anche se fuori dal progetto: «Do una mano, non sanno dove andare... non hanno un lavoro e una casa». Chiediamo a Tinto se la sua idea sui migranti, dopo questa esperienza, sia cambiata: «Sì, sono cambiato io. Molto». E sulla possibilità di prendere un’altra struttura da adibire all’accoglienza? «No, per il momento no».

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