L'ex brigatista: «Volevano ucciderlo»

La testimonianza di Armando Lanza, basista delle Brigate Rosse. Il racconto di un uomo che ha pagato, ha cambiato vita, ha aperto una cooperativa con cui ha dato lavoro ai disabili psichici e che, anche a causa delle torture subite in questura, oggi ha il fisico compromesso

L'ex brigatista: «Volevano ucciderlo»
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La testimonianza di Armando Lanza, basista delle Brigate Rosse. Il racconto di un uomo che ha pagato, ha cambiato vita, ha aperto una cooperativa con cui ha dato lavoro ai disabili psichici e che, anche a causa delle torture subite in questura, oggi ha il fisico compromesso

Ieri era un insegnante della scuola Aldo Moro di Villafranca, fulminato dalla lotta armata e arruolato nelle Brigate Rosse. Oggi è un pensionato, marito di Carmen e papà di Dafne. Armando Lanza era il basista del commando Br che il 17 dicembre del 1981 rapì il generale americano James Lee Dozier, comandante della Nato nell'Europa meridionale. Suo il compito di trovare la base logistica per la preparazione dell’azione, effettuare i sopralluoghi e trasportare il gruppo a 500 metri dall’abitazione del generale.

Subito dopo la liberazione di Dozier da parte dei Nocs, Lanza fu prelevato dalla scuola in cui insegnava e arrestato. Per quella vicenda è stato condannato in primo grado a 12 anni e 6 mesi, pena dimezzata in appello, finita di scontare nel 1991. Lo incontriamo nella sua casa di Isola della Scala e lo incalziamo subito: «Qualcuno ha scritto che lei era pronto a sparare». «Posso assicurare che non avrei potuto, non lo avevo mai fatto prima, avevo toccato le armi solo per spostarle. In compenso nel covo di Vicolo Pozzo a San Giovanni Lupatoto dormivo con due bombe a mano nel comodino e due mitra Sterling sotto al letto».

Nello stesso pianerottolo viveva un uomo, con cui c’era simpatia ma riservatezza reciproca: uno era il brigatista, l’altro un agente della Digos che scoprirà la vera identità del «Compagno Nanni» solo dopo l’arresto. Nessuno crederebbe oggi che Lanza era intenzionato a diventare prete: «Sono nato nelle campagne veronesi e sono andato via di casa a dieci anni perché volevo fare il prete missionario, così dopo il primo collegio, l’istituto Provolo di Verona, sono “scappato” con i comboniani, veri uomini di Dio, mi hanno aperto gli occhi su tante cose, sulle responsabilità dell’Occidente in fenomeni che si stanno verificando oggi, come l’emigrazione.

A 17 anni, uscito dai comboniani, mi impegno nei movimenti terzomondisti e nei collettivi, fino a quando decido di fare un viaggio in Centroamerica per vedere da vicino il popolo salvadoregno che combatteva contro un governo democristiano, come quello italiano. Da lì ho maturato l’idea della rivoluzione». Arrivano gli anni di piombo, la strage di Brescia, il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro e l’eccidio di Bologna, vera molla per la decisione di Lanza. Il male assoluto per lui si chiama Nato, e la sua rivoluzione non avrebbe mai previsto l’omicidio di professionisti, di magistrati, di operai come Guido Rossa.

A chiedergli insistentemente della rivoluzione salvadoregna è un suo collega di scuola, Nazareno Mantovani. Sono i mesi in cui le Br sembrano virare ad azioni dirette proprio verso la Nato, approfittando del movimento pacifista, e Lanza inizia a meditare un impegno diretto. Colui che lo introdurrà nelle Br sarà proprio Mantovani: «Insisteva molto, voleva sapere da me cosa pensassi della rivoluzione del Centroamerica e cosa avrei fatto qui in Italia. Un giorno gli dissi: “Tu sei delle Br”. Lui non rispose. Dopo qualche giorno mi portò un loro documento sulla situazione operaia dell’Alfa Romeo. Era la conferma e l’invito a farne parte».

Da lì l’incontro con un membro della «direzione strategica» veneta, Cesare Di Lenardo, uno di quelli che non si dissocerà e in seguito rivendicherà diversi omicidi. Da quel momento Lanza viene scelto per fare il basista e scegliere quel locale che ospiterà tutti i componenti del commando: Antonio Savasta, Pietro Vanzi, Cesare Di Lenardo e Emilia Libera e Giovanni Ciucci. Fatto ciò bisognava solo scegliere la vittima del rapimento: Armando compra un libro con le uniformi americane e cerca i gradi da generale.

Fuori dalla base Nato di Via Scalzi a Verona individuano un graduato, lo pedinano per settimane e scoprono la sua identità: è l’obiettivo perfetto. Il 17 dicembre del 1981 Dozier viene rapito: Lanza accompagna il commando sotto casa del generale e riceve l’ordine di attendere un paio d’ore al Pestrino di Verona. Se qualcosa fosse andato storto l’ostaggio sarebbe stato portato nel covo, nella prigione di riserva. Tutto fila liscio, Lanza torna a casa e riprende la sua vita normale. Fino al 28 gennaio, giorno della liberazione di Dozier, giorno del suo arresto, durante la ricreazione: «Professore, la cerca un amico». Poi le manette.

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