La tradizione del salame fatto in casa a Mozzecane

Cinque famiglie del paese ogni anno si ritrovano per preparare il gustoso insaccato e i tipici cotechini. 

La tradizione del salame fatto in casa a Mozzecane
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La tradizione del salame fatto in casa a Mozzecane. Cinque famiglie del paese ogni anno si ritrovano per preparare il gustoso insaccato e i tipici cotechini.

La tradizione del salame fatto in casa a Mozzecane

Una tradizione che si fa arte, che a sua volta è condivisione, chiacchiere, qualche pettegolezzo, ogni tanto dei battibecchi, ma sempre in simpatia. Il tutto innaffiato da vino rosso e accompagnato dal buon mangiare. Da oltre trent’anni cinque famiglie di Mozzecane si danno appuntamento ogni anno per portare avanti una tradizione: la produzione di salami e cotechini.

I capostipiti della tradizione

I capifamiglia e «custodi» dell’arte sono Gianni, Alessandro, Giampaolo, Giuseppe e Donato, quest’ultimo 88 anni (e tre quarti): «Sono nato che c’era già il salame da fare – scherza il “decano”, con una passione particolare per la musica lirica – Per prepararli per prima cosa si toglie il lardo dalla cotenna, che viene poi macinata per fare il cotechino. Il lardo, invece, si aggiunge a piacere nel salame, a seconda delle preferenze».

I trucchi del mestiere

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La tradizione del salame fatto in casa a Mozzecane
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La tradizione del salame fatto in casa a Mozzecane

 

Tanti sono gli accorgimenti per non rovinare il prodotto di due giorni d’impegno, e ogni passaggio è seguito e compiuto con attenzione e sapienza. Gino, Geremia, Lucio, Renza, Anna, Stefano, Roberto e Armanda sono i preziosi aiutanti, indispensabili per la buona riuscita del prodotto. «Serve prestare molta attenzione a non far finire nel macinato del salame la parte sanguinante, o si potrebbe rovinare – continua Donato – Questa, così come i muscoli e la testa spolpata, va invece nel cotechino».

Una ricetta non segreta

La ricetta ufficiale del gruppo è stata perfezionata nel tempo, un’alchimia trovata nel corso di fredde giornate e di assaggi golosi. Su 100 chili totali di macinato servono due chili e mezzo di sale, con due etti e due di pepe a dare il giusto «sprint». Infine, niente vino e poco, pochissimo aglio. Dopo la preparazione, un altro è il momento delicato per eccellenza: la stagionatura. «La prima fase è quella dell’asciugatura – continuano a raccontare le famiglie all’opera, mentre sbrigano ordinatamente i propri compiti – Bisogna evitare che si formino bolle d’aria all’interno dei salami, o si potrebbero rovinare. Vengono poi tutti bucati, per dare la possibilità alla carne di “spurgare”, di far uscire cioè l’acqua “tirata fuori” dal sale».

Salamelle e "driti"

Per le salamelle c’è poco da aspettare, prima di poterle consumare: al massimo una ventina di giorni. A marzo sarà poi tempo dei «driti», mentre a maggio finiranno sulle tavole le «corna», i salami più grandi. Per completare il lavoro è necessaria una giornata di lavoro a cavallo di due giorni, scanditi anche da altri appuntamenti fissi. La colazione del secondo giorno, ad esempio, a base di polenta abbrustolita e pestume, da assaggiare per verificarne il sapore. O come il successivo pranzo, a base di risotto al tastasal e fegato. Abitudini che si rinnovano di anno in anno, sempre insieme, come una seconda famiglia. «E’ per questo che lo facciamo ancora dopo tanto tempo – spiegano – Vogliamo portare avanti una tradizione, tramandandola alle nuove generazioni come i nostri nonni e genitori hanno fatto con noi».

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