Nicolò e Riccardo, due «maori» alla scuola All Blacks

I giovani, selezionati da allenatori neozelandesi, stanno vivendo un’esperienza di crescita umana e sportiva unica.

Nicolò e Riccardo, due «maori» alla scuola All Blacks
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I giovani, selezionati da allenatori neozelandesi, stanno vivendo un’esperienza di crescita umana e sportiva unica.

Giovedì 6 luglio, ore 12: davanti ad un’acqua tonica e un thè freddo, quando mancano poche ore al decollo, Nicolò Adami e Riccardo Veliscek stanno già volando. Rugbisti 15enni della scaligera Valeggio Rugby, grazie ad una borsa di studio, sino a domenica 16 luglio si alleneranno, respireranno, vivranno in Nuova Zelanda, patria del rugby, degli All Blacks

La prestigiosa International Rugby Accademy New Zeland di Palmerston sarà la casa dei due «maori» valeggiani. Mentre Riccardo e Nicolò palesano la speranza dell’impossibile reso possibile, mamma Elide e papà Enrico esplicitano il pathos del genitore: preoccupazione e soddisfazione. Valeggio-Palmerston, 26 ore di volo e 10 di fuso orario: come ci sono arrivati? Nicolò e Riccardo giocano nella Scaligera Valeggio Rugby, la partnership con la Scaligera Verona Rugby avviata nel 2015, due volte l’anno, porta in Italia allenatori neozelandesi, rabdomanti di talenti.  Cosa avete provato quando avete saputo che sareste volati in nuova Zelanda? Nicolò: «Ho pensato che ci sarei andato anche a piedi!». Riccardo: «Sono rimasto sbalordito». Attraverso whatsapp mi informano che va tutto bene, anche con l’inglese se la cavano, allegano una foto dove Nicolò stringe orgogliosamente  in mano la maglietta dell’accademia. «Gli allenamenti sono duri, ma, le vasche in acqua calda e fredda non le batte nessuno! In più qui fa molto freddo e ti si congelano le mani durante l’allenamento. Comunque tutto bene!». Prima della partenza. Come avete iniziato a giocare a rugby? «Dopo aver provato diversi sport siamo arrivati alla palla ovale, ed… è stato un colpo di fulmine». Come quello che si prova per le ragazze? «Sì! Solo che, con le ragazze non dura, con il rugby invece, è diverso». Nicolò vive di rugby da 5 anni, Riccardo da 3. Incalza e spiega: «Alla nostra età, perché avere una ragazza per molto tempo se ne puoi cambiare una al mese? Non conviene». Ineccepibile. Liceali al primo anno, entrambi promossi, palesemente veri amici, come tali parlano chiaro. «A Nicolò invidio che abbia il fisico più bello del mio, a Riccardo l’intelligenza, se si impegna è intelligente, ma non lo lo dimostra spesso!». Sincerità senza mediazione, come dire: diritti alla meta.

Mentre hanno le gambe ancora a Valeggio ma la mente in nuova Zelanda, dall’esperienza si aspettano di affinare tecniche di gioco e di mostrare il loro gioco, di crescere come atleti e come ragazzi. Galvanizza l’idea di condividere allenamenti e giornate con giovani provenienti da tutto il mondo. Cosa vi piace del rugby? «Il gioco di squadra, l’aiuto in campo ai compagni, il terzo tempo dove da avversari si diventa amici». Succede sempre? «Beh (seconda dimostrazione di assoluta sincerità, ndr.), diciamo la maggior parte delle volte, capita di rado ma succede di non avere feeling con una squadra, allora anche il terzo tempo ne risente. Si mangia e si beve ognuno nel proprio angolo». Quando si perde una partita? Nicolò: «Quando esci dal campo sconfitto, lo fai a testa alta, e questo mi fa sentire più uomo». La parola «uomo» detta ergendosi sulla sedia da un adolescente mi incute soggezione e ammirazione. Per Riccardo è un modo per crescere. Razionale, oggettivo, positivo. In accademia i nostri due maori valeggiani si allenano tre volte al giorno, la sveglia suona alle 6 e la giornata inizia con la corsa: «Qui tutto bene», mi scrivono. Prima di partire ho chiesto loro se fossero felici. «Sì!». Basta una sola parola. Enrico, papà di Nicolò, Elide, mamma di Riccardo, annuiscono, con quel pizzico di preoccupazione che si fa raccomandazione: fate i bravi! Già lo sono. 

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