Piazzola, la stella della lirica di casa nostra

Il baritono di Dossobuono si esibisce in tutto il mondo, ma non dimentica le sue origini

Piazzola, la stella della lirica di casa nostra
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Il baritono di Dossobuono si esibisce in tutto il mondo, ma non dimentica le sue origini

«A volte, nel Teatro alla Scala di Milano deserto, andavo in platea, chiudevo gli occhi e immaginavo di sentire le voci dei grandi cantanti del passato». Il baritono Simone Piazzola, nato nel 1985 e cresciuto nella frazione di Dossobuono, racconta così l’amore viscerale per il suo lavoro, che l’ha portato a diventare una stella della lirica. L’opera è entrata a far parte della sua vita per puro caso, quando aveva solo 3 anni: «A casa mia nessuno ascoltava musica lirica, ma un giorno mia madre stava guardando alla televisione una vecchia puntata di “Canzonissima” in cui il tenore Mario del Monaco cantava “Un amore così grande”. Io rimasi pietrificato davanti allo schermo e da lì è nata la mia passione, che mia madre assecondò comprandomi le prime cassette di Pavarotti».

A 11 anni Simone iniziò a studiare con il soprano Alda Borelli Morgan: «A lei devo tutto - spiega Simone - mi ha fatto anche da nonna. Mi sentì cantare la prima volta durante un picnic con la mia famiglia, in cui usavo come microfono un bastone che avevo piantato nel prato annunciandomi con le parole “Dalla Scala di casa mia, canta Simone Piazzola”. Lei si avvicinò e disse a mia madre di portarmi nel suo studio». A 18 anni arrivò il debutto come Marullo in «Rigoletto» al teatro dell’Opera di Roma, e poi nel 2007 la vittoria al concorso «Belli» di Spoleto, dove fu notato da Alessandro Ariosi, l’agente di Plácido Domingo, che è ora anche il suo e che Simone definisce come un fratello maggiore. 

Così fu scoperto il suo talento, che lo ha portato a cantare nei più importanti teatri d’opera d’Italia e del mondo e a lavorare accanto ad affermati registi come Ferzan Ozpeteck e De Ana, direttori d’orchestra come Roberto Abbado, Zubin Mehta, Riccardo Muti, Myung-Whun Chung, e ovviamente i più grandi cantanti del panorama attuale. Con due di loro Piazzola racconta di essersi perfezionato: «Renato Bruson mi ha insegnato che cosa significa “porgere una frase”, ovvero lasciare qualcosa al pubblico. Ora invece sto studiando con il basso Giacomo Prestia, con cui ho cantato in “Simon Boccanegra” alla Fenice di Venezia».

Il suo cavallo di battaglia, interpretato 160 volte, è il ruolo di Giorgio Germont nella «Traviata» di Verdi. I momenti che Simone ricorda come i più emozionanti sono due: il suo debutto al Teatro alla Scala di Milano con «Il Trovatore» diretto da Rustioni e con la regia di De Ana, e il ritorno nella sua città nel 2016 con «Il Trovatore» all’Arena di Verona, che commenta così: «Nessuno è profeta in patria, e questo valeva anche per me fino ad allora. Cantavo in tutto il mondo, ma ero stato in Arena solo per il gala Plácido Domingo. Tornare per un’opera completa e ricevere tre minuti di applausi è stata un’emozione indescrivibile». Gli applausi più belli sono però quelli di suo figlio Diego, che a 4 anni sa perfettamente quando bisogna applaudire durante un concerto, anche se sul saper applaudire Simone aggiunge: «Il pubblico deve applaudire ciò che gli piace, e se non applaude, è giusto chiedersi se si è fatto abbastanza».

Quando gli chiediamo che cosa ne pensa del nuovo allestimento del Nabucco presentato quest'estate all’Arena, risponde: «Non sono un amante del moderno a tutti i costi, ma non possiamo tenere l’Opera in naftalina: Bernard è riuscito a innovare il Nabucco senza cambiarne i valori, facendo uno splendido lavoro». Piazzola ha vinto il secondo premio e premio del pubblico al concorso Operalia di Plácido Domingo, il premio «Abbiati» nel 2015 e debutterà nel 2018 al Metropolitan di New York, ma «quando torno qui - sottolinea - sono sempre Simone di Dossobuono e questo è importante per me, perché, come canta il tenore in “Pagliacci” di Leoncavallo, “Il teatro e la vita non son la stessa cosa”».

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