Quellomicidio irrisolto ai piedi del Castello
«La lapide che si trova accanto alla porta della cantoria sulle mura del monumento testimonia una vicenda poco nota ai più»

«La lapide che si trova accanto alla porta della cantoria sulle mura del monumento testimonia una vicenda poco nota ai più»
Da 250 anni sta sotto gli occhi dei villafranchesi, sulle mura esterne del monumento simbolo della città e passa ai più inosservata. All’ombra della torre dell’orologio, accanto alla porta d’ingresso della cantoria, si trova una piccola lapide marmorea in cui è inciso il ricordo di un omicidio rimasto insoluto per secoli e destinato a rimanere tale. Le poche lettere scalfite sulla pietra invitano il passante a recitare un «De profundis», salmo riservato al ricordo dei defunti, per l’anima di un concittadino morto in quel luogo il 3 novembre 1767. «Tutto quello che la lapide ci dice di lui è il suo nome, Giovanni Battista Ongaro , e il fatto che fu ucciso «da un pazzo» spiega Luca Dossi, villafranchese studioso di storia medievale e professore di lettere dell’istituto Italo Montemezzi di Vigasio.
L’oscurità in cui è sprofondata la tragica vicenda di Giovanni Battista non è diradata nemmeno dalla consultazione di altre testimonianze. L’unica a cui Dossi ha potuto ricorrere per cercare di scoprire qualcosa in più su di lui è una stringata nota dell’epoca in cui viene aggiunto un dettaglio temporale: «Il breve riferimento all’evento precisa che avvenne “nocturno tempore”, ovvero di notte, ma stranamente non è indicata l’età del morto, neanche con le formule vaghe tipiche di quel tempo». Se sull’età non è possibile saper nulla, il nome può senz’altro suggerire qualcosa sulla sua origine.
«Ongaro è il nome di una delle famose “famiglie originarie” che, vantando da secoli diritti connessi alle terre affidate ai loro avi, alla fondazione del borgo governarono Villafranca. E’ possibile quindi ipotizzare che appartenesse a una delle famiglie più importanti del paese». C’è infine un’altra esile traccia che è possibile provare a seguire per ipotizzare qualcosa in più sulla vita di Giovanni Battista. Accanto al suo nome sulla lapide sono incise tre lettere, dopo le quali è presente un’ondina, segno grafico che indica nelle epigrafi dell’epoca che si tratta di una parola abbreviata.
«Le tre lettere “era” potrebbero essere verosimilmente l’abbreviazione di eremita. La chiesa nel castello, che fra il ‘600 e il ‘700 è stata completamente rifatta nello stesso luogo in cui si trovava quella precedente, era all’epoca officiata da una confraternita. Si trattava di laici che si occupavano di officiare la chiesa lì presente». Come spiega Dossi, era una pratica comune all’epoca. Potevano essere gruppi di uomini o di donne, che in genere si occupavano della cura dell’altare, portavano in processione le statue e officiavano anche se non erano sacerdoti. «Della loro attività resta traccia - precisa - in noiosi rendiconti fiscali o documenti in cui si trovano elencate le spese necessarie al mantenimento del decoro dell’altare come l’acquisto di tovaglie o candele».
Nel castello in particolare queste confraternite occupavano gli edifici della parte frontale. Oltre alla chiesa, la vicina struttura ad archi e le stanze interne sopra e sotto le strutture difensive del rivellino. E’ possibile ipotizzare che Giovanni Battista fosse uno di loro e che i suoi confratelli abbiano voluto ricordarlo con una lapide. Quali altri dettagli banali o segreti affascinanti possa conservare la vita dell’assassinato Ongaro non è dato sapere, ma la curiosità generata dal domandarci che vita vivesse può essere utile per scoprire una Villafranca ben diversa da quella che conosciamo oggi.