Senzatetto per un giorno

I guanti ricevuti e il panettone, ma anche tanta indifferenza

Senzatetto per un giorno
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I guanti ricevuti e il panettone, ma anche tanta indifferenza

«Ho perso il lavoro, ho perso la casa, anche gli affetti e gli amici si sono persi, dignità ambizioni speranze si sono talmente allontanate che non riesco nemmeno ad intravederne i contorni. Sola con il nulla accanto». Ripeto queste parole come un mantra, a piedi sto percorrendo via Rizzini, non incrocio nessuno a parte la nebbia e un «collega» con la pelle scura che trotterella per il freddo davanti alla chiesa dei frati. Sono Elisa Rosignoli, ho un lavoro, una casa e affetti, ho ambizioni, voglia di fare, di sfidare e di sognare.

Cambio punto di vista, vado dall’altra parte della barricata, ho la faccia e le mani sudicie, annerite da un carboncino, sono infagottata dentro una miseria di maglioni sdruciti con le forbici, ho la testa conficcata dentro una cuffia di lana sintetica che prude da morire, e una sciarpa asfaltata dalle gomme dell’auto per renderla più annientata del corpo che scalda. Domenica 11 dicembre, ore 10, sono una mendicante, una barbona, per dirlo in modo meno elegante; una clochard, cambia la definizione, non la sostanza.

La mia vera identità davanti al castello in corso Vittorio Emanuele inizia ad abbandonarmi, si allontana di un passo per ogni persona che incrocio, sguardi che oscillano tra lo sdegnato, lo schifato e il rassegnato: «Oggi ce n’è un'altra!», le parole escono a voce piena dalla bocca di una signora di mezza età. Sono una «stracciona» ma non sono sorda, mi ver-
rebbe da risponderle, ma i mendicanti non obbiettano sui modi, non fanno domande, se ne fregano, l’unica preoccupazione è raccogliere soldi. Sono l’ennesimo stress da strada, l’ennesimo esempio di disturbo, chiedo l’elemosina e importuno con la sola mia presenza le persone. «Ho fame aiutatemi», è il mio biglietto da visita scritto con il pennarello su un pezzo di cartone, lo tengo stretto in una mano, nell’altra un sottovaso per le eventuali monete.

Antonella mia amica e complice, me lo ha prestato togliendolo dal suo bel vaso di ciclamini; nonostante la paura che mi possa mettere nei guai - sanzioni per accattonaggio, allontanamento coatto - ha deciso come sempre di accompagnarmi. Materna e apprensiva fotografa di questo nostro viaggio nel mondo dei senza nulla, degli invisibili ma non troppo, perché la gente mi vede ma non mi guarda.

Un sorriso e tre monete da 50 centesimi si posano nel piattino, alzo lo sguardo e incrocio il primo sorriso: è quello di una signora, indossa un lungo piumino nero, dopo essermi passata davanti mentre sono seduta sugli scalini del Duomo, torna indietro, nessuna parola (anche io rimango muta), ma credetemi quel sorriso è stato un colpo di bellezza ben assestato. Corso Vittorio Emanuele è affollato dalle bancarelle del mercato dell’antiquariato e da tanta gente: è domenica, passeggiano con tranquillità, mancano 24 giorni a Natale e l’atmosfera del «siamo tutti più buoni» potrebbe aver preso casa qui? Un 40 enne stiloso getta letteralmente nel piattino due euro, e mi dice «toh, tieni», mentre continua a cercare in una bancarella di lampade vintage.

Una coppia di trentenni belli e teneri - si tengono per mano - è campione della specialità: «slalom del barbone». Mi scansano velocemente, lei piroettando sul tacco 12, lui sorreggendola. È tutto molto doloroso ma altrettanto legittimo. «Ho fame». Senza aggiungere altro tendo la mano e rimango ferma davanti al banco di un hobbista che vende tutto ad un euro, è una montagna scura di uomo con una cuffia azzurro cielo in testa: «Anca mi - risponde in dialetto - e adesso vao a torme un paneto». Sarcasmo «fragile»: un cliente acquista una statuina, gli dà un euro, non lo infila in tasca ma nella mia mano stringendola con un augurio di buon Natale. Qualche metro più avanti la mia «fame» trova un inaspettato desco e un ancor più inaspettato invito: due signori sui 60 anni tagliano un pandoro, «signora ne prenda una fetta, è buono».

L’amico con una bottiglia di spumante in mano aggiunge: «Prenda anche un bicchiere di vino, guardi che è speciale!». Mi danno del lei - come si dovrebbe fare con chi non si conosce- e rispondono al mio bisogno, che tengo stretto e scritto sul cartone: mi sale un groppo in gola, lo ricaccio in fondo con il primo boccone. «La messa è finita, andate in pace». Sono alla fine della scalinata del Duomo, un gruppo di elegantissime signore mi oltrepassa, mi scrutano torve in viso e mi evitano: sono un’appestata di miseria, loro di misericordia dimenticata.

Sottolineo che nessuno è obbligato a dare, tutti lo sono a non togliere dignità e rispetto, compreso chi ha ascoltato la parola di Cristo. Nessun giudizio, è la cruda cronaca di quanto ho vissuto sulla mia pelle. Una giovane mamma con un bimbo di 8-9 anni si avvicina, il piccolo mi infila 5 euro nel piattino, gli sfioro la testa con la mano, la mamma sorride e mi porge la sua: «Stia bene...».

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