Tony Currenti, la prima anima ritmica degli AC/ DC a Villafranca

La storia della musica ha fatto tappa al Dubliners Irish pub

Tony Currenti, la prima anima ritmica degli AC/ DC a Villafranca
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La storia della musica ha fatto tappa al Dubliners Irish pub

Venerdì 29 settembre la storia della musica ha fatto tappa a Villafranca, nelle spoglie di Tony Currenti, il primo batterista degli AC/ DC.

Il pub Dubliners ha ospitato un infuocato concerto degli Overdose74, tribute band degli AC/ DC nella loro formazione iniziale con il cantante Bonn Scott. In virtù di un’amicizia nata su Facebook, ignorando oceani e continenti di distanza, Tony Currenti, nato a Fiumefreddo di Sicilia ma australiano di adozione, ha accettato di suonare con gli Overdose74, tornando ad occupare il posto alla batteria come fece nel 1974, quando registrò in 10 giorni «High Voltage», il primo album di un gruppo che sarebbe entrato nella leggenda. «A Imola è stata una serata straordinaria - ricorda Riccardo Orlandetti, chitarrista degli Overdose74 - Invece l’unica volta che Tony è venuto a esibirsi a Verona bisogna sottolineare che i giornali hanno colpevolmente ignorato la cosa». Abbiamo avuto l’occasione di conoscere colui che per primo ha dettato il ritmo degli AC/ DC e di fargli qualche domanda sulla sua storia, in cui si intrecciano ordinarietà e mito.

E’ vero che rifiutò la prima volta che gli AC/ DC le proposero di suonare con loro?

Certo. La loro era una band alle prime esperienze quando il fratello maggiore degli Young, George, mi chiese di partecipare al progetto. Io facevo parte dei Jackie Christian & Flight, una band ormai consolidata. Guadagnavamo molto più di loro. Poi capii che potevano avere un futuro.

Dopo varie insistenze accettò di suonare nel loro primo album, ma non li seguì in Europa, perché?

Se l’avessi fatto sarei stato costretto a tornare in Italia per adempiere agli obblighi di leva, quindi non solo non sarei rimasto negli AC/ DC, ma avrei dovuto rinunciare alla musica. Per questo non ho rimpianti. Smisi di suonare successivamente, per dedicarmi alla mia famiglia. Per 38 anni non ho più toccato una batteria finché i fan, grazie all’iniziativa di Jesse Fink che stava scrivendo la biografia «The Youngs», non me ne hanno regalata una nel 2014. Allora sono venuto a suonare per la prima volta in Italia a Imola con gli Overdose74. Non ero sicuro, mi hanno convinto l’affetto dei fan e il fatto che mio figlio non mi avesse mai sentito suonare.

Si dice che a Phil Rudd, il batterista che la sostituì, fu chiesto di riprodurre lo stesso stile con cui lei l’aveva suonata in «High Voltage». Conferma?

Sì, so che lo istruirono per tre mesi in tal senso.

Nonostante abbia trascorso tutta la vita a Sydney, scegliendo a diciotto anni di non seguire i suoi genitori quando tornarono in Sicilia, ha un italiano perfetto.

A Sydney ho sempre continuato a parlare siciliano. Avevo degli zii che mi avrebbero ospitato a casa loro se mi fossi tagliato i capelli e avessi trovato un lavoro in famiglia, ma io non chiesi mai loro ospitalità. E poi lavorando nella mia pizzeria non ho mai smesso di avere intorno italiani. Leggo e scrivo in italiano, mentre in inglese leggo solo. La mia lingua è l’italiano.

Qual è stato il momento più emozionante della sua carriera di musicista?

Quando iniziai a suonare una vera batteria, dopo aver consumato per anni con le bacchette tutte le sedie di casa, i miei idoli erano gli Easybeats. Dopo pochi anni suonai con loro. Mi sembrò un sogno.

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