Valeggio: la storia di Chiara Bertaiola, chef «gourmet»

Lo street food e il suo furgone rosso: «Così sono riuscita a trasformare i no in sì»

Valeggio: la storia di Chiara Bertaiola, chef «gourmet»
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Lo street food e il suo furgone rosso: «Così sono riuscita a trasformare i no in sì»

I «no» li ha trasformati in «sì», da sempre e per sempre. Eterna controcorrente, no, lei segue solamente quella che fluisce delle sue emozioni del suo talento, Chiara di nome, cristallina quando parla e cucina. E’ la ragazza con il furgone rosso screziato di blu - colori di Valeggio -, un Fiat 616 N artigianale, una cucina su gomma, street food gourmet itinerante. Il furgone ha acceso il motore il 17 giugno dello scorso anno. Lo trovi al parco Ichenhausen dove Chiara da piccola giocava; oggi, da adulta, gioca con i piatti e diverte i palati ma non solo. La cucina, come scrive nel suo elegante libro «Vento di Carezze», non è solo un bisogno fisico ma un punto di incontro. Il nostro incontro.

«Ciao gioia» sono le prime parole di Chiara al telefono - non ci conosciamo - «mi fa piacere incontrarti, grazie per aver pensato a me». Il giorno successivo, ecco arrivare Chiara Bertaiola, chef gourmet 33 anni valeggiana doc. Dopo aver letto i 170 commenti e gli oltre 1000 like, a commento di un suo post sulla sua pagina Facebook, righe nelle quali racconta i «no» ricevuti, la forza di agire, presagire, pianificare e raccogliere, urge incontrarla: sono molto curiosa. «I No li vedo come sfide, non mi spaventano. Alle medie mi suggerirono di fare il liceo artistico perché ero brava a disegnare, io amavo cucinare, ho scelto l’alberghiero, da ragazzina mi fu diagnosticato il morbo di Crohn, incompatibile con il lavoro di chef, da quando avevo 15 anni ho lavorato nelle cucine prima di Valeggio e poi in tutta Italia e all’estero». I ristoranti che l’hanno avuta ai fornelli sono a 5 stelle superior come quello di Parigi, o in Lussemburgo una cucina con due stelle Michelin; lunga la lista di quelli italiani da nord a sud del paese.

Trentatré anni, buona parte dei quali passati accanto al cibo, cresciuta a pane e fornelli, a sette anni andava in negozio di alimentari del paese, iniziò con il mettere in ordine il pane, poi imparò a fare il simbolo di Valeggio: tortellini, lì tutto ebbe inizio. Scanzonata, cappellino da basket, furiosamente sognatrice, una trentina di riconoscimenti di premi, sui quali non si sofferma, un contorno, come piatto unico ti serve la riconoscenza. «Devo molto alla mia famiglia, a mia mamma Cristina , mio papà Vittorio , ai miei fratelli Claudio e Stefano». Famiglia da Mulino bianco! Esordisco senza sapere che... «Dieci anni fa, quando ne avevo 23, dissi ai miei genitori della mia omosessualità, i miei fratelli la accettarono da subito, mamma e papà si presero del tempo (nessuna recriminazione si affaccia sul suo viso). Due anni fa le cose sono cambiate, oggi a mia madre basta sapere che sono felice». Un «no» diventato «sì» che le accende un sorriso e parecchia fierezza, più dei premi ricevuti o dei tanti ristoranti che la rimpiangono. «I miei genitori quando lo scorso anno decisi di investire tutti i miei risparmi nel furgone e nello street food mi diedero della pazza, sai perché? Perché un genitore ti vuole proteggere, li ringrazio, il loro no è stata una sfida che ho vinto, oggi tutta a mia famiglia collabora con me».

Con Chiara le ricette, celebrazione dei suoi piatti sono argomenti a margine, fuori dal menù della nostra chiacchierata, oltre alla famiglia gli «ingredienti» che utilizza nel suo essere, nel suo lavoro sono altre due persone. Snejana Digore soprannominata «fiocco di neve». «A lei devo l’approdo nella terra dei social, io non ne capisco molto, lo devo solo a lei», e Roberta Ferro una ristoratrice che un anno fa la spinse a mettersi in proprio a bordo del suo furgone rosso vermiglio. «Non uso ricette, per me la cucina è istinto, il cibo parla - evidentemente usa una lingua a me sconosciuta, considerati i miei piatti di sopravvivenza - prendo spunto dalle persone, come si vestono, il loro profumo, come si muovono». Chiara mi serve un assist imperdibile, la metto immediatamente alla prova. «Quale pietanza ti suggerisco?», le chiedo. «Zenzero e agrodolce», mescola in testa i due sapori e immediatamente crea il mio piatto. «Un pesce spada marinato a crudo con lamponi, pepe rosa zenzero e miele». Mi piace, frequentandomi da tempo posso dire: è il mio piatto!

Negoziatrice. Istinto e pianificazione sono le leve del suo essere, del suo lavorare. Fantasia ai fornelli pragmatismo negli obiettivi, acquistare una casa entro i 25 anni: fatto. Aver lavorato in un ristorante stellato entro i 30: fatto. Aver aperto un’attività propria entro i 33: fatto. Un cronoprogramma lavoro e vita rispettato, quali sono le sfide future? Chiara non le svela, mi dà solo una traccia: «Allargare lo street food con il servizio a domicilio, con la collaborazione dei miei fratelli, per il momento può bastare». D’altro canto lo chef non svela mai del tutto le ricette, tiene per sé quel tocco segreto, quell’ingrediente magico che lo rende unico, anche quando si parla di progetti nel caso di Chiara sono sogni che nei tempi da lei fissati diventeranno realtà. Intanto ogni giorno a partire dalle 19 con il suo street food gourmet accende i fornelli al parco Ichenhausen, dove, oltre ai piatti trovi un sorriso aperto, una risata fragorosa, qualche cosa di speciale che non si può acquistare. Chiara inconsapevolmente lo regala.

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