Valeggio, la storia di una madre che ha salvato la figlia dalla droga

Decisivo l'aiuto, l’ascolto e il lavoro di un ufficiale di Polizia giudiziaria di Valeggio: Giampiero Amara

Valeggio, la storia di una madre che ha salvato la figlia dalla droga
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Decisivo l'aiuto, l’ascolto e il lavoro di un ufficiale di Polizia giudiziaria di Valeggio: Giampiero Amara

Come ti sei sentita? «Morta. Ti prendi tutte le colpe, ho pianto per 10 anni». Gli occhi si fanno di nuovo lucidi, poi la forza materna le riaccende lo sguardo: «E’ mia figlia, l’ho fatta io, quindi: l’avrei salvata, a qualsiasi costo. Alle madri dico, - e lo ripete come un mantra - chiedete aiuto, non vergognatevi non abbiate paura, il silenzio firma la condanna a morte dei nostri figli». Anna e Vittoria , madre e figlia, nomi di fantasia dentro i quali c’è però tutta la realtà della tossicodipendenza, cruda e crudele. Stillicidio quotidiano, forzuto bisogno che erode consuma e annienta passioni, sogni, desideri, voglia di fare, di vivere. Vittoria la incontra nel 2006, ha 11 anni, frequenta la prima media, i primi spinelli, l’ amicizia con la roba durerà 10 anni, si chiuderà il 20 gennaio di quest'anno.

A gettare la chiave di quella porta, la caparbietà di una madre e l’aiuto, l’ascolto e il lavoro di un ufficiale di Polizia giudiziaria di Valeggio: Giampiero Amara, in servizio presso il comando dei Vigili. Per Anna lui è il suo angelo custode, l’unico ad averla aiutata. Vittoria due mesi fa pesava 35 kg, ed era ad un passo dalla fine. «Mamma Eroina» contro mamma Anna. A 13 anni negli spinelli hashish e marijuana cedono il posto all’eroina. «L’ho vista in macchina a Valeggio con un ragazzo molto più grande di lei, sapevo che era tossico, avevo capito che qualche cosa era cambiato in mia figlia».

Le analisi al Sert confermano la positività all’eroina. «Non volevo crederci, ho pianto, urlato, lei, non potendo negare giurava che avrebbe smesso, bugie e promesse sono all’ordine del giorno. Vivere con un tossico non è facile, se è tuo figlio non lo puoi lasciare». Eroina cancella passioni. «Ha cambiato tre scuole superiori, non trovava stimoli, l’unica esaltazione era la droga». Le hai mai chiesto perché si drogasse? Mi guarda come se arrivassi da Marte. «Pensi che ti rispondano? Negano, negano sempre, mi diceva che ero pazza, erano mie fantasie». La fantasia nell’inganno: «Quando andava al Sert per le analisi, nascondeva nella giacca un piccolo thermos con l'urina di un amica “pulita”, andava in bagno, la metteva nella provetta che poi consegnava agli operatori».

Tra i 16 e i 17 anni «mamma eroina» entra nelle vene di Vittoria. Anna non ci sta. «Decido con il Sert il ricovero in una comunità di Venezia, lì conosce un ragazzo di Valeggio, dopo 8 mesi escono e tornano a casa. Stanno assieme per un anno, poi si lasciano, era un amore sorretto solo dalla droga». L’eroina non è mai uscita dalla vene di sua figlia, sostituisce tutto, anche l’amore di una madre. In casa Anna trova delle siringhe, ancora una volta lei nega, le riconduce ad un passato che non c’è più, costruisce bugie con i piedi d’argilla; non importa, l’unico scopo è continuare a farsi. 2 dicembre 2016: Vittoria sparisce da casa per 42 giorni .

«Sapevo che era andata a vivere con uno spacciatore, un personaggio pericoloso, uno straniero di 35 anni (successivamente ho saputo che le impediva di usare il telefono), ho denunciato il fatto ai carabinieri di una stazione della provincia di Verona, mi hanno liquidata dicendomi che mia figlia era maggiorenne. Mi sono trovata sola, non sapevo cosa fare e dove andare, anche le Forze dell’ordine mi avevano abbandonata. Parlando con un’amica mi indica di andare da Giampiero Amara. Nel suo ufficio ho pianto tanto, ero disperata ma determinata, dovevo salvare mia figlia». L’ufficiale assieme ai carabinieri di Verona apre un’indagine che porta all’arresto dello spacciatore e alla «liberazione» della ragazza. «Dallo scorso 20 gennaio mia figlia vive a San Patrignano, dopo 10 anni sono tornata a parlare con lei. Prima non era possibile».

Con l’orgoglio di mamma mi mostra alcune foto, è una bellissima ragazza, nonostante la magrezza, nonostante il viso smunto. Un tratto mi colpisce, ha gli occhi identici a quelli della madre, oggi illuminati per entrambe dalla speranza. Scorrendo le foto, l’immagine che non mi aspetto: lei in primo piano che fa le boccacce; se non fosse per ciò che le sta dietro sarebbe il selfie di una ventenne qualunque. Sul comodino cucchiaino stagnola e siringa. Questo però è il passato. In questa intervista hai scelto il nome di fantasia per tua figlia, perché? «Quello che ho vissuto si è chiuso con una grande “vittoria”. Mia figlia ha diritto di vivere, l’ho rimessa al mondo un’altra volta».

Il cammino in comunità sarà lungo, Vittoria ha mosso i primi passi verso la libertà dalle droghe, ora spetta solo a lei riprendersi la sua vita. «Ho accettato di incontrarti e raccontarti la storia mia e di mia figlia, perché tante mamme anche a Valeggio stanno vivendo ciò che ho vissuto io. A tutte dico fino allo sfinimento di non arrendersi, di bussare a tutte le porte. Il rischio è quello di perdere per sempre i propri figli. Una madre non può accettarlo».

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