Video a luci rosse di Giulia Sarti, ecco di cosa si trattava
La news pubblicata ieri pomeriggio, venerdì, era solo un test, una provocazione, un modo per cercare di capire la reazione della gente.
Può un giornale online pubblicare un video a luci rosse, peraltro senza l’autorizzazione dei diretti interessati, commettendo una palese e grave illegalità? La news pubblicata ieri pomeriggio, venerdì, sui video e le immagini hot che riguardano l'onorevole Giulia Sarti, era solo un test, una provocazione, un modo per cercare di capire la reazione della gente.
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Un grave problema
Il titolo era volutamente “ingannevole”, mentre il testo affrontava seriamente un problema grave, quello del <revenge porn>. Sintetizzando le reazioni delle principali istituzioni politiche del Paese e richiamando un reale fatto di cronaca del settembre 2016 costato la vita una giovane napoletana, abbiamo voluto accendere i riflettori su un fenomeno troppo spesso sottovalutato. Anche oggi, sabato, i giornali raccontano di un episodio che ha rischiato di finire in tragedia, avvenuto in una scuola di Lodi. Manco a dirlo i protagonisti sono una ragazzina e alcuni scatti e video intimi finiti in rete e diffusi su WhatsApp.
Gli "indizi"
Nel nostro servizio c’erano però alcuni indizi che avrebbero dovuto far sorgere qualche dubbio. Primo indizio: nessun giornale, regolarmente registrato, può pubblicare video a luci rosse Secondo indizio: nel testo si diceva che eravamo riusciti ad ottenere in esclusiva il video a luci rosse. Però tutti sapevano che il video a luci rosse, purtroppo, era già divenuto virale finendo su Pc, tablet e smartphone. Terzo indizio: che ci fosse qualcosa che non quadrava lo si poteva intuire laddove si diceva “chi lo vuole consultare può cliccare su questo link e scaricarlo ma solo se maggiorenne, così può verificare se è un documento vero o una fake news”.
L'obiettivo
L’obiettivo, ovviamente, non era neppure quello di dare del “guardone” al lettore dopo averlo “stuzzicato”. L’obiettivo era di stanare qualche “leone da tastiera”, invitare le persone a non fermarsi al titolo per giudicare ma leggere, approfondire e poi fare le proprie valutazioni. Ma l’obiettivo vero era quello di sensibilizzare tutti su una materia delicata, come il “revenge porn”, perché in Parlamento ci sono quattro proposte di legge ma ancora nessuna sta vedendo la luce.
La "sorpresa"
E infatti al posto del video compariva una clip su fondo rosso dal titolo “Non si guarda dal buco della serratura!!!" Chi pubblica attraverso strumenti informatici immagini o video privati aventi contenuti a sfondo sessuale senza l'espresso consenso delle persone ritratte rischia da 6 mesi a 3 anni di reclusione. Pena che sale da 1 a 4 anni se a diffonderle è il coniuge. Chi invece contribuisce a diffondere queste immagini invece rischia una multa da 75 a 250 euro.
I dati
Lunedì avremo anche i dati che ci potranno permettere di capire meglio l'esito di questa provocazione. Ma soprattutto di scoprire in quanti spinti dalla morbosa curiosità hanno potuto rendersi conto che stavano incorrendo in un reato. Ma soprattutto stavano compiendo una porcheria...