Messaggio per la Giornata mondiale del Teatro 2019 (traduzione)

Ogni anno una personalità della Cultura condivide le sue riflessioni: tocca al cubano Carlos Celdràn.

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Messaggio per la Giornata mondiale del Teatro 2019 (traduzione). Ogni anno una personalità della Cultura condivide le sue riflessioni: tocca al cubano Carlos Celdràn.

Messaggio per la Giornata mondiale del Teatro 2019 (traduzione)

Oggi, mercoledì 27 marzo si celebra la Giornata mondiale del Teatro 2019: vi proponiamo il messaggio ufficiale, nel video in lingua originale, in coda la traduzione in italiano.

Giornata mondiale del Teatro 2019

Istituita nel 1961 a Vienna nel corso del IX Congresso mondiale dell’Istituto Internazionale del Teatro fondato nel 1948 su iniziativa dell’Unesco, la Giornata Mondiale del Teatro è stata celebrata per la prima volta a Parigi il 27 marzo del 1962.

Da allora, ogni anno, una personalità della Cultura mondiale condivide le sue riflessioni sul tema del Teatro.

Il messaggio ufficiale del cubano Carlos Celdràn

Quest’anno il messaggio è stato affidato al cubano Carlos Celdràn, regista teatrale, drammaturgo, accademico e professore di fama mondiale.

Messaggio per la Giornata mondiale del Teatro 2019 (traduzione)

Ecco la traduzione:

Prima del mio risveglio in teatro, i miei insegnanti erano già lì. Avevano costruito le loro case e la loro poetica sui resti delle loro stesse vite. Molti di loro non sono conosciuti o sono a malapena ricordati: lavoravano in silenzio, dall’umiltà delle loro sale prove e delle loro platee piene di spettatori, e lentamente, dopo anni di lavoro e risultati straordinari, hanno lasciato il loro posto e sono scomparsi. Dopo aver capito che il mio obiettivo e il mio futuro sarebbe stato seguire le loro orme, ho anche capito che avevo ereditato la loro maniera unica di vivere il presente senza alcuna altra aspettativa che ottenere la trasparenza di un momento unico. Un momento d’incontro con un’altra persona nell’oscurità di un teatro, senza altra protezione che la verità di un gesto, di una parola rivelatrice.

Il mio paese teatrale è in quei momenti di incontro con gli spettatori che arrivano notte dopo notte nella nostra sala, dagli angoli più insoliti della mia città, per accompagnarci e condividere qualche ora, qualche minuto. Con quei momenti unici costruisco la mia vita, smetto di essere me stesso, di soffrire per me stesso e rinasco capendo il significato del mestiere di fare teatro: vivere momenti di pura verità effimera, dove sappiamo che ciò che diciamo e facciamo, lì, sotto la luce della scena, è vero e riflette ciò che è nel più profondo e intimo di noi stessi. Il mio paese teatrale, mio e quello dei miei attori, è un paese intessuto da quei momenti in cui ci lasciamo dietro le maschere, la retorica, la paura di essere chi siamo e ci prendiamo le mani nell’oscurità.

La tradizione del teatro è orizzontale. Non c’è nessuno che possa affermare che il teatro sia in qualche punto del mondo, in qualche città o edificio specifico. Il teatro, come io l’ho fatto mio, si estende attraverso una zona invisibile che mescola le vite di chi lo fa e l’arte teatrale all’unisono. Tutti i maestri del teatro muoiono con i loro momenti di lucidità e bellezza irripetibile, scompaiono nella stessa maniera, senza lasciare un’altra trascendenza che li protegga e li renda illustri. I maestri di teatro lo sanno, non c’è riconoscimento che dia la sicurezza al nostro lavoro: creare momenti di verità, di ambiguità, di forza, di libertà nella massima precarietà. Dopo la loro morte non rimarranno altro che i dati o i video e le foto del loro lavoro e trasmetteranno solo una pallida idea di ciò che hanno fatto. Ma in quei ricordi, in quei “supporti”, mancherà sempre la risposta silenziosa del pubblico che capisce in un istante che ciò che sta accadendo perché questo non può essere tradotto o portato fuori, che la verità condivisa è un’esperienza di vita, per alcuni secondi più diafana della vita stessa.

Quando ho capito che il teatro era un paese in sé, un grande territorio che copre il mondo intero, in me è nata una decisione che è al tempo stesso una libertà: non devi allontanarti da dove sei, non devi correre e nemmeno muoverti. Lì dove sei tu c’è il pubblico. Lì al tuo fianco ci sono i compagni di cui hai bisogno. Là, fuori da casa tua, c’è tutta la vita quotidiana, opaca e impenetrabile. Lavori allora da quell’apparente immobilità per costruire il più grande dei viaggi, per ripetere l’Odissea, il viaggio degli Argonauti: sei un viaggiatore immobile che non smette di accelerare la densità e la rigidità del tuo mondo reale. Il tuo viaggio è verso l’istante, verso il momento, verso quell’incontro irripetibile con i tuoi simili. Il tuo viaggio è verso di loro, verso il loro cuore, verso la loro soggettività. Viaggiate dentro di loro, attraverso le loro emozioni, i loro ricordi che ti risvegliano e ti smuovono. Il tuo viaggio è vertiginoso e nessuno può misurarlo nè spegnerlo. Allo stesso modo nessuno può riconoscerlo nella sua giusta misura, è un viaggio attraverso l’immaginario della gente, un seme che viene seminato nella più remota delle terre: la coscienza civica, etica e umana dei tuoi spettatori. Pertanto, non mi muovo, continuo nella mia casa, tra i miei parenti, in apparente calma, lavorando giorno e notte, perché ho il segreto della velocità.

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