Nelle zone inquinate da Pfas mortalità da Covid superiore del 60 per cento
Nella ricerca condotta dall'Università di Firenze, si ipotizza anche che la risposta immunitaria delle persone esposte alle sostanze tossiche, sia intaccata dal contaminante.
Nella prima ondata, nei Comuni della zona contaminata da Pfas i morti per Covid siano stati una volta e mezzo rispetto al resto della regione. Un dato, questo, che sta provocando una certa apprensione in tutte le zone a cavallo tra vicentino e veronese, sottoposte al contaminante.
Mortalità da Covid superiore del 60 per cento nelle zone inquinate da Pfas
Tra il 15 febbraio e il 15 aprile del 2020 i dati parlano chiaro: nel territorio più esposto alle sostanze inquinanti, i Pfas (composto chimico di origine sintetica, estremamente acido), nel corso della prima ondata pandemica da Covid-19, si è registrata una mortalità superiore del 60 per cento rispetto alla media regionale.
E’ quanto emerge da uno studio condotto da Annibale Biggeri, docente di Epidemiologia all’Università di Firenze, prendendo in esame i dati ufficiali, che trova conferma in un altro lavoro, questa volta del ricercatore statunitense Philippe Grandjean, che ha scoperto la facilità con cui uno dei Pfas, il Pfba, si accumuli nei polmoni. Ulteriore preoccupazione, poi, emerge da un altro elemento: sembrerebbe che la risposta ai vaccini possa essere intaccata dalla presenza dei contaminanti.
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Cosa sono i Pfas
I PFAS sono composti che, a partire dagli anni cinquanta, si sono diffusi in tutto il mondo, utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all’acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti ma anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa. Le loro proprietà e caratteristiche chimiche hanno però conseguenze negative sull’ambiente e a causa della loro persistenza e mobilità, questi composti sono stati rilevati in concentrazioni significative negli ecosistemi e negli organismi viventi.
I Pfas in Veneto (e nel resto del Paese)
Nel 2013 i risultati di una ricerca sperimentale su potenziali inquinanti “emergenti”, effettuata nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero dell’Ambiente, indicano la presenza anche in Italia di sostanze perfluoro alchiliche (PFAS) in acque sotterranee, acque superficiali e acque potabili.
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I Pfas in Veneto (e nel resto del Paese)
Nel 2013 i risultati di una ricerca sperimentale su potenziali inquinanti “emergenti”, effettuata nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero dell’Ambiente, indicano la presenza anche in Italia di sostanze perfluoro alchiliche (PFAS) in acque sotterranee, acque superficiali e acque potabili.
Per lo studio vengono prelevati anche campioni di acqua destinata al consumo umano in più di 30 comuni nella provincia di Vicenza e nelle zone limitrofe delle province di Padova e Verona. Le indagini evidenziano un inquinamento diffuso di sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS), a concentrazione variabile, in alcune aree delle province sopracitate. Le informazioni circa la presenza di queste sostanze sono presentate nella relazione dell’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR.
A partire dal 2013 l’azione di Arpav si sviluppa su diversi ambiti di attività, dall’individuazione della principale fonte di pressione e area di contaminazione nella provincia di Vicenza, alla ricerca e sviluppo di metodologie di analisi e modellistica idrogeologica di flusso e trasporto della contaminazione, ad un’intensa attività di indagine ambientale sulle diverse matrici per valutare, in base ai dati raccolti, i percorsi di diffusione dei PFAS nelle acque sotterranee.
In provincia di Verona i Comuni più colpiti sono: Albaredo, Arcole, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant'Anna, Cologna, Legnago, Minerbe, Pressana, Roveredo, Terrazzo, Veronella e Zimella.
Le sostanze ricercate dal Dipartimento Regionale Laboratori di ARPAV sono le seguenti: PFOA, PFOS, PFBA, PFBS, PFPeA, PFHxA, PFHpA, PFHxS, PFNA, PFDeA, PFUnA, PFDoA, PFHpS. Dal 2018 si sono ricercate anche HFPO-DA e C6O4.
L’intervento tempestivo ha permesso alle autorità regionali di mettere in sicurezza l’acqua potabile della zona interessata, tramite l’utilizzo di filtri a carboni attivi, già nel 2013.
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